domenica 29 dicembre 2013

André Breton, di Giovanni Bruzzi

Stimolato dalla tesi di Francesca Bergadano sul rapporto tra Céline e il surrealismo che abbiamo postato qualche tempo fa, il pittore, amico e céliniano Giovanni Bruzzi ci ha invitato questo ritratto di Breton, e un ricordo del suo incontro con il poeta.


Il poeta José Montero-Valle, attraverso una sua cara amica che lavorava presso l'Editore Gallimard, mi comunicò l'indirizzo di André Breton, che io volevo assolutamente conoscere. Un pomeriggio (dicembre 1961) mi recai al 42 Rue Fontaine (subito sotto Place Pigalle, proprio accanto ad un piccolo teatro), dove dunque abitava il celebre poeta, inventore del Surrealismo, forse il movimento artistico più importante del nostro secolo. La casa era molto modesta e mi dovetti fare indicare dal concierge il piano e la porta dell'appartamento di Breton, perchè nessuna indicazione compariva all'esterno. Suonato il campanello, mi vidi aprire l'uscio proprio dal poeta in persona che, sentite le mie ragioni, mi concesse un appuntamento per la domenica successiva alle ore 11. Al rendez-vous concordato, mi presentai con alcune mie tele arrotolate, che avevo realizzato a Parigi. André Breton fu molto cordiale con me e si dimostrò interessato al mio lavoro, lodandone il livello tecnico e lo stile personale raggiunti, anche se precisò subito che, non essendo un pittore di tendenza surrealista, ero fuori dalle sue competenze dirette; presenziò al colloquio anche la sua gentile consorte. Conversammo per più di due ore, toccando argomenti diversi come quello delle riviste d'arte da lui fondate ("Litterature", "Minotaure"), del suo rapporto turbolento con Giorgio De Chirico (che io avevo conosciuto personalmente nel marzo del 1960 a Roma), fino a giungere alla recente grande esposizione da lui organizzata nel 1959 a Parigi sul tema dell'eros e che era stata un clamoroso insuccesso, chiaro sintomo che il Surrealismo, nonostante le scandalistiche stravaganze messe in atto, aveva irrimediabilmente imboccato il viale del tramonto e di questo lui ne era consapevole. Al riguardo delle difficoltà oggettive del vivere a Parigi, mi consigliò, con molto garbo, di trovarmi per almeno altri 15 anni (ne avevo allora 25) una fonte alternativa di sostentamento all'ipotetica vendita dei quadri e mi consigliò anche di fare una visita alla "Galerie Fϋrstenberg", perchè poteva essere interessata alla mia pittura (in seguito mi recai alla sopradetta galleria ma non trovai una buona accoglienza, anche se conobbi in quell'occasione due valenti pittori come Henri Michaux e Stanislao Lepri). Approfittai di quell'incontro per schizzare a penna un veloce ritratto di André Breton che a lui sembrò piacere. La cosa più straordinaria di quella visita fu il corredo di capolavori della pittura surrealista che il geniale poeta aveva accumulato durante gli anni; tutti i più grandi artisti erano rappresentati con opere fondamentali: Yves Tanguy, Joan Mirò, Max Ernst, André Masson, Arshile Gorky, René Magritte, Man Ray, Victor Brauner, Hans Bellmer, Francis Picabia, Paul Delvaux, Sebastian Matta, Wifredo Lam. Però qui voglio ricordare solamente i dipinti che mi colpirono di più: "Il cervello del bambino" di Giorgio De Chirico (l'unico quadro acquistato nella sua vita, mi confidò Breton, perchè tutti gli altri sono stati degli omaggi dei suoi amici pittori), "Il sogno di Guglielmo Tell" di Salvador Dalì, "Ritratto di George Washington" di Marcel Duchamp e un piccolo olio cubista di Pablo Picasso dedicato proprio ad André Breton, il giorno stesso della Liberazione di Parigi, nel 1945. Completavano la decorazione dell'ambiente alcuni grandi totem in legno scolpiti dai Pellerossa d'America. Una casa fantastica, come il grande poeta che l'abitava.


Giovanni Bruzzi

"Tutto è permesso tranne che dubitare dell’Uomo"


"Sono anarchico da sempre, non ho mai vo­tato, non voterò mai per niente né per nessu­no. Non credo negli uomini. Perché vuole che mi metta d’improvviso a suonare lo zufolo so­lo perché decine e decine di falliti me lo suo­nano? io che me la cavo piuttosto bene col pianoforte? Perché? Per mettermi al loro livel­lo di gente meschina, rabbiosa, invidiosa, pie­na d'odio, bastarda? Questa è davvero buona. Non ho niente in comune con tutti questi froci - che sbraitano le loro balorde supposizioni e non capiscono nulla. Si immagina a pensare e a lavorare fra le grinfie di quel gran coglione di Aragon, per esempio? Questo sarebbe l'av­venire? Colui che dovrei adorare, è Aragon! Puah! […] Non sente, ami­co, l’Ipocrisia, l’immonda tartuferia di tutte queste parole d’ordine ventriloque! […] I nazisti mi detestano al pari dei socialisti, e i comunisti anche, senza contare Henri de Régnier o Comoedia. Si in­tendono tutti quando si tratta di sputarmi ad­dosso. Tutto è permesso tranne che dubitare dell’Uomo. Allora non c’è più niente da ri­dere.
Ho fatto la prova. Ma io me ne frego, di tutti.
Non chiedo nulla a nessuno".

Céline a Elie Faure, 1934