lunedì 8 ottobre 2012

"Céline ci scrive" segnalato da Massimo Raffaeli su "Alias" (Il Manifesto)



















"Jünger. La penna di un esteta all'umile servizio di un elenco di orrori", 
di Massimo Raffaeli

[...] Jünger, quando il 22 aprile del '43, poco dopo Stalingrado, si ritrova a tavola con Louis-Ferdinand Céline vede subito le sue unghie sporche e lo inquadra «nell'epoca della pietra». I due si detestano d'acchito e testimoniano di un'opposta paranoia ideologica: l'uno è un nazista ontologico, impolitico e per così dire sotto spirito, incapace (noterà Ferruccio Masini presentandone Irradiazioni, Longanesi 1979) di cogliere «fino a che punto una scrittura scaltrita e ben levigata possa far dimenticare i protocolli burocraticamente imprevedibili degli assassini»; l'altro è un populista e un antisemita forsennato che allucinando le dinamiche della lotta dì classe (e di nient'altro trattano in realtà i suoi capolavori, Voyage e Mort a crédit si illude di poterle placare e riscattare in una sorta di comunismo «per soli ariani» di contro al "socialismo kasher", come ha mostrato con dovizia di analisi una monografia recente di Francesco Germinario (Celine. Letteratura, politica e antisemitismo, Utet 2011).
È certo il Céline di Bagatelles ma è anche quello che in piena occupazione, alla solita maniera desultoria e blaterante, manda lettere ai giornali colme di pornografia razzista e di macabri appelli a farla finita con gli ebrei. Se perciò Juenger si ritrae, reticente e sempre sommamente ipocrita, viceversa Céline si sovraespone imperversando, fra il '40 e il '44, con interviste e lettere a «Je suis partout», «La Gerbe», «Au pilori», vale a dire la razzumaglia collabo cui lo scrittore tedesco è solito guardare con un disprezzo molto prossimo all'orrore. Qui viene utile la lettura di Céline ci scrive. Le lettere di Louis-Ferdinand Celine alla stampa collaborazionista francese (a cura di Andrea Lombardi, traduzione di Valeria Ferretti, edizioni Settimo Sigillo, pp. 239, € 25.00) introdotte da un bel ritratto céliniano di Stenio Solinas: il volume include una trentina di testi, è annotato, largamente illustrato, arricchito da documenti d'epoca (non tutti a dire il vero pertinenti, come quello sullo stalinismo di Aragon, noto a chiunque) ma è manchevole della tavola delle fonti che dovrebbe rimandare a Céline et l'actualité 1933-1961 (textes réunis et présentés par Jean-Pierre Dauphin et Pascal Fouché, «Cahiers Céline», n. 7, Gallimard 1986), dove pure sì trova una quantità di interviste altrettanto univoche e ossessive.
Nel dopoguerra Céline ritratterà ogni cosa senza davvero ritrattare nulla, dedicandosi alla grandiosa Trilogia del Nord; per parte sua, Jünger curerà il decorso di una reputazione molto dubbia prodigandosi nella stesura di prolissi, orribili, romanzi ecologico-filosofico-fantascientifici. All'uscita di Irradiazioni nel '49, la canaglia Céline è un condannato a morte in attesa di estradizione dalla Danimarca che non esita a riconoscersi nello scrittore troglodita dalle unghie luride e a sporgere subito querela: l'altro, l'aristocratico, il nazista impolitico, neanche se ne avvede perché sta già pianificando, nel buen retiro di Wilflingen, il suo accesso all'immortalità.

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