sabato 28 gennaio 2012

Viaggio al termine della notte a teatro: spettacolo di Elio Germano, Teho Teardo e Marina Bertoni

Parte da Genova il 2 febbraio la nuova tournée teatrale di “Viaggio al termine della notte“. A portarla in scena Elio Germano che leggerà il testo accompagnato dalle musiche di Teho Teardo e il violoncello di Martina Bertoni.
Grazie alla sensibilità del celebre attore, che reciterà in italiano e francese, vengono ripercorsi in musica alcuni frammenti del capolavoro di Céline. Questa interpretazione così originale dà nuova linfa al testo e concede nuove possibilità espressive.
Si parte dal Politeama di Genova al 2 febbraio. Le altre date toccheranno: Bologna (3-4 febbraio Teatro del Sole), Correggio (5 Teatro Asioli), Milano (7-19 febbraio Teatro Elfo), Roma (21-26 Palladium) e Cagliari (28-29 febbraio Teatro Massimo).

http://spettacoli.notizie.it/elio-germano-recita-celine/

domenica 15 gennaio 2012

Pound, Céline, Schmitt & Co...


Ezra Pound era un grande poeta. Meglio: un grande poeta fascista. Forse gli scrittori e gli intellettuali che hanno firmato una lettera di solidarietà alla figlia di Pound in lotta contro l’«appropriazione indebita» da parte di Casa-Pound pensano invece che un grande poeta non possa essere un grande poeta fascista. Dicono infatti di essere «sdegnati» per l’«uso improprio» che l’estrema destra farebbe del «valore universale della poesia» di Pound. Perché, le poesie di un grande poeta fascista, nel caso fossero grandi poesie belle ed emozionanti, non possono avere un «valore universale»? Dicono anche con una certa imprudenza interpretativa, i Belpoliti e i Cucchi, i Magrelli e i Guglielmi, i Ghezzi e i Balestrini e gli altri firmatari dell’appello, che l’estrema destra che si appropria del nome di Pound sarebbe lontana «dall’universo culturale» del grande poeta (fascista). «Lontano» in che senso?

Ezra Pound era un grande poeta fascista. Era così fascista che concepì i suoi meravigliosi Cantos vicino a Pisa, precisamente nel campo di Coltano, insieme a numerosi altri fascisti che lì erano internati dopo il 25 aprile, dove il grande poeta venne rinchiuso in una gabbia all’aperto, sotto il sole cocente o sotto una pioggia torrenziale: non ci furono grandi poeti e scrittori dello schieramento antifascista che si sentirono di difendere il «valore universale» di Pound. Pound era così fascista che venne segregato per tredici anni in un manicomio criminale perché, da fascista, durante la guerra aveva fatto il propagandista di Mussolini contro gli Stati Uniti: un fascista, e per giunta traditore del suo Paese. Pound era un grande poeta. E purtroppo, con le sue polemiche sull’usurocrazia delle banche a suo avviso pervase di «spirito giudaico», non esente da un antisemitismo imperdonabile. Non c’è nessuno scandalo nel fatto che, amolti anni di distanza, dei gruppi giovanili fascisti si rifacciano al nome di un grande poeta fascista. Come non ci sarebbe scandalo se un gruppo dell’estrema sinistra si richiamasse al comunista Bertolt Brecht, o al comunista Pablo Neruda. Ne verrebbe forse compromesso il «valore universale» di magnifiche opere teatrali e di splendide poesie?

Si fatica ad accettare l’idea che una grande cultura possa essere partorita da un fascista e che tra fascismo e cultura, malgrado le indicazioni di Norberto Bobbio contenute in una delle opere meno brillanti del grande filosofo torinese, non ci siano una inconciliabilità e una incompatibilità assolute. Si considera ancora il fascismo dei grandi scrittori, artisti, poeti, architetti, drammaturghi, registi fascisti come una parentesi insignificante, un accidente biografico, al massimo un deplorevolema momentaneo cedimento che non inficia la grandezza dell’arte e della letteratura. Oppure li si depura, si dà loro una versione purgata, narcotizzata, decolorata della loro arte e del loro pensiero.

Si sente ancora l’eco delle furiose polemiche degli heideggeriani di sinistra contro una biografia di Heidegger che si era permessa di sottolineare l’adesione del grande filosofo tedesco al nazismo e il celeberrimo discorso universitario in cui il grande filosofo tedesco riconosceva in Adolf Hitler l’uomo del Destino venuto a guidare il suo popolo verso le vette dell’autenticità.

Anche Carl Schmitt è stato sottoposto a un processo di denazificazione postuma per farne un maestro della filosofia politica asettico e neutro. I recenti lavori critici di Ernesto Ferrero e Riccardo De Benedetti hanno restituito di Louis-Ferdinand Céline una pienezza di significati che non prescinde dalle nefandezze antiebraiche profuse da Céline nelle pagine delle Bagatelle per un massacro. Viaggio al termine della notte è un capolavoro della letteratura del Novecento, ma l’opera di Céline non può essere tagliata a fette, a seconda delle simpatie e delle convenienze. Céline era un grande scrittore, ma un grande scrittore antisemita. Purtroppo le due cose possono convivere: la cosa peggiore è far finta che non sia così, dare un’immagine di comodo di uno scrittore maledetto, scrostarlo di ogni contaminazione ideologica, darne una biografia culturale dimezzata. Del resto, non tardarono ad accorgersi dell’identità fascista degli scrittori e intellettuali appena menzionati i vincitori della Seconda guerra mondiale che non esitarono a sanzionare duramente Heidegger, Céline e Carl Schmitt (il cui caso finì addirittura a Norimberga). A Pound venne riservata, come abbiamo visto, la punizione più crudele. Furono pochissime le voci indignate per il trattamento subito dal grande poeta, pochissimi si interrogarono sul paradosso che vedeva un poeta artefice di poesie di «valore universale» trattato come un pericoloso criminale. E perché mai gli estremisti di destra non dovrebbero rivendicare la loro simpatia per Pound? E come si può ragionevolmente dire che Pound era «lontano» dall’universo culturale dell’estrema destra?

Il difetto sta appunto nel voler dividere l’indivisibile, nel nascondere le parti brutte per prenderne solo quelle più belle. Invece bisognerebbe per prima cosa riconoscere che cultura e fascismo non sono incompatibili. E in secondo luogo ammettere che l’ammirazione per le poesie di Pound (o per i romanzi di Céline, o per il teatro di Brecht) può benissimo convivere con la certezza che il loro autore disse e scrisse anche mostruose sciocchezze. In terzo luogo ricordare che purtroppo la stragrande maggioranza degli artisti e degli scrittori appoggiò uno dei grandi totalitarismi del Novecento, e talvolta, ma non tanto infrequentemente, tutti e due, in più o meno rapida sequenza. È così «improprio» ricordarlo?

Pierluigi Battista

http://lettura.corriere.it/debates/falsificare-pound-per-antifascismo/

Viaggio in fondo all'odio, intervista di Céline all'Express, giugno 1957


Louis-Ferdinand Céline

VIAGGIO IN FONDO ALL’ODIO


Di seguito, l’eccezionale intervista della giovane giornalista Madeleine Chapsal (nella foto) a Louis-Ferdinand Céline, pubblicata su L’Express n° 312 del 14 giugno 1957: come in altre occasioni, al di là dei temi toccati, sin dalle prime battute sarà Céline a condurre l’intervista, portandola sui binari di una vertiginosa invettiva che non dà - e soprattutto non chiede - quartiere.

Andrea Lombardi



D. Sono venuta a chiederle di D’un château l’autre.
R. Parlare d’un libro, mica possibile...

D. L’ho letto,
R. Ha mica potuto leggerselo per bene, lei, perché è diventato un guazzabuglio. Ho consegnato il manoscritto, e il manoscritto, per che motivo, poi?, l’han scombinato, me lo son visto tutto rivoltato, la fine al posto dell’inizio!... Presumo che l’imparano alla Nouvelle Revue Francaise, li sballottano di scrivania in scrivania poi cercano di rappezzarli, i capitoli. E poi me l’hanno imbastardito e non si capiva più cos’era diventato quello, e quell’altro... Alla fine, bene o male l’han rimesso in piedi, sto capolavoro...

D. L’ha riletto, dopo?
R. Eccome. Pieno di sbagli. Ce ne saranno sempre, difficile che non ce ne siano, dato che è pieno di trucchi, trucchi di stile. Parole al posto di altre. Stampatori e tipografi prendono un inizio di frase e la finiscono come gli pare a loro; non è mica così che va bene. Dentro, c’è un trucchetto. Mai che mettano la parola giusta al posto giusto. Mettono la parola naturale, normale, logica, quella che ci metterebbe Paul Bourget. Paul Bourget... È lui che la comanda la letteratura francese! La parola che tutti s’aspettano? Cos’è poi che vuole, il lettore? Che dica cose che non lo urtino.

D. Vuoi dirci allora com’è che scrive?
R. Sono uno stilista, mettiamo, un maniaco dello stile, mi diverto a fare cosette. A un uomo si chiede moltissimo, ma può mica fare molto, lui. Enorme illusione del mondo moderno, domandare a uno d’essere volta a volta un Lavoisier o un Pasteur, di far tornare sempre i conti. Uno che trova qualcosuccia di nuovo è già tanto, è già bell’e sfinito! Gli basta per una vita! Si parla di “messaggi”. Mando mica messaggi alla gente, io. L’enciclopedia, che è enorme, è stracolma di messaggi. Niente di più volgare, a chilometri e tonnellate, e giù filosofie, visioni del mondo!...

D. Lei direbbe piuttosto d’aver prodotto...
R. Macché! Una robetta da niente!...

D. Come definirebbe ciò che ha inventato?
R. Come una musica, una musichetta calata nello stile, e basta. Tutto qui. La trama, diobono, è una roba secondaria. È lo stile che conta. I pittori già si sono sbarazzati del soggetto, un boccale, un vaso, una mela, o qualcos’altro, è come li ritrai che conta. La vita m’ha voluto mettere, me, in circostanze, in situazioni delicate. Allora ho tentato di tradurle alla brava, ho dovuto farmi memorialista, per non scocciarlo, se possibile, il lettore. E in un tono che mi pare differente dagli altri, perché proprio non mi riesce di fare uguale agli altri... Mica scrivo in cinese, sicuro. Ma pur sempre un tantino differente... Quando tutti sti signori che si credono tanto differenti non lo sono proprio per niente. È piena l’Enciclopedia, di quest’altri! Ci ho il Dizionario, io, enorme, e ci sono tutti, lì dentro. Me li scovo...

D. Lei dice d’aver inventato soprattutto uno stile, ma non ci sono lettori che comprano il suo libro per la trama?
R. Roba da fruttivendole. Se non arrivi alla fruttivendola manco arrivi alle grandi tirature. La fruttivendola va a comprarsi il Signor Daninos, la Signorina Delly. Eccola qui la trama, la bella trama! In una parola, il fattaccio, la storiella che ti porti a casa tua, ben confezionala, un po’ ricamata. È sta roba che interessa il pubblico... Vuole la macchina, gli alcolici e le ferie, il pubblico. Siamo campioni del mondo d’alcolismo, 1.200 miliardi l’anno in bevute. Mica possibile anelare oltre. Siamo a sti livelli. E poi la macchina!... Ogni Francese presto ce l’avrà. E il cinema a completare l’opera. S’impara a vivere, al cinema. E i vostri giornali, poi, a dare istruzioni sulla vita. Oggi si va mica a leggere Balzac per sapere chi è un avaro o un medico condotto. Stanno nei vostri giornali, nelle riviste, e al cinema! E allora chi se ne frega d’un libro?... Una volta s’imparava a vivere, da un libro. Perciò impedivano alle ragazze di leggere i romanzi. Mariti che sorvegliavano le letture delle mogli... Ma di belle trame, adesso, pieni i giornali: ce n’è sulle carceri, sui manicomi! Pieno zeppo di trame, l’ultimo straccio di giornale. Altro che letteratura, è il soggetto che conta, la trama...

D. Quando i lettori hanno comprato Voyage au bout de la nuit hanno comprato una trama, non solo un nuovo stile.
R. Nient’affatto! Si sono comprati uno scandalo. Lo scandalo montato da Daudet. Ho beneficiato del momento in cui i critici autorevoli non erano ancora morti. Mica più voci come Daudet, oggi, come Descaves, come pure Ajalbert. Ho approfittato del momento buono... Daudet, lui s’era reso conto. Daudet capiva. Ci capisce più niente nessuno, oggi. Daudet s’era reso conto di qualcosa, d’una musichetta, come s’era reso conto di Proust. E ha detto: “C’è qualcosa, lì dentro!...” Ha parlato. Oggi invece tanta gente tutta istruita, ognuno che ci ha la maturità o la laurea ti può scrivere un romanzo. Lettere alla cuginetta, formato gigante! Uguali dappertutto... Non c’è medico o notaio senza il suo bel romanzo nel cassetto!...

D. Ciò forse vuoi dire che scrivere è un bisogno.
R. Sì, ma per colpa della lavatrice. La moglie pensa: “Una lavatrice, una che funziona, costa 200.000 mila franchi...” Lei ci pensa e, dato che è femmina, mica lo dice che ci pensa. Il marito, lui, sa scrivere, articoli qua e là... Lei pensa sempre alla lavatrice. E un bel giorno davanti alla vetrina gli fa: “Guarda, è uscita l’ultima Sagan, se ne parla tanto. Quante che ci guadagna a copia? 20%. Ah, 100 franchi a libro)?” Pensa sempre alla famosa lavatrice, lei!... Egli fa, a lui: “Senti, tu non potresti?... - Oh, io, no, lo sai bene - Oh, ma sì che lo potresti fare un romanzo uguale. È mica così straordinario, l’ho letto”. Allora, via! Ecco che ne arriva un altro, di romanzo! Spedito a Gallimard... Ogni anno zavorra di quattrocento romanzi, il Gallimard. Li butta nella Senna! Nessuno che se li fila! Valgono su per giù come tutti gli altri, ma non escono... Una lotteria!

D. Fra gli scrittori attuali c’è nessuno che abbia la «musica»?
R. Non glielo posso dire, perché se uno è scrittore in prima persona poi diventa molto parziale. Reagisce meccanicamente, è un pessimo critico, in fondo. In fondo, per lui, quel che è scritto diverso è merda. Grottesco. Lo so benissimo... Quel che è scritto diverso da te ti da fastidio. Se no, sei mica del mestiere...

D. C’è nessuno che scrive in modo simile al suo?
R. Certo, gente che ha esplorato lo stesso ambito, sensibile alle stesse cose... Più che istinto, una certa raffinatezza ci vuole, una infinita raffinatezza, e un’orribile tenacia. Come se un istologo non si occupasse dei coloranti. E ce n’è. Raffinatezza istologica. Dicono: “Importa poco che si tratti di una cellula di fegato o d’un neurone, sono i coloranti che m’interessano.” C’era Paul Morand, agli inizi, o il Barbasse di Le Feu che ci hanno provato. C’era Ramuz, in Svizzera. Gente che s’è interessata di simili problemi. Gli altri, diobono, ce n’è forse che scrive roba formidabile, non so... Ma è roba che non m’interessa. M’interesso solo dei coloranti, io. Al giorno d’oggi qual’è la donna che distingue fra un merletto e un ricamo qualsiasi? che riconosce un punto d’Alencon da uno di Valenciennes? Nessuna. Chi sa più l’antico inglese? Nessuno. Io invece lo so, ci sono cresciuto in mezzo, io. Chi è che, in anatomia, conosce bene un ginocchio, una caviglia? La dissezione? Nessuno. Raffinatezza ci vuole, lei mi capisce. Ma son cose che non interessano i suoi lettori. No, il lettore vuoi mangiare verdura ben cotta e cucinata, il piatto pronto, con dentro la buona sbobba abituale!...

D. Per chi scrive lei?
R. Scrivo mica per qualcuno. L’ultimo pensiero, una simile bassezza! Si scrive per la cosa in sé.

D. Lei comunque si rivolge ai lettori. Parla con loro, dialoga, si scusa se li ha dimenticati...
R. È un trucco. Invece li disprezzo. Quel che pensano e quel che non pensano!... Sei bell’e fregato dal lettore, dai lettori, se ti preoccupi di quel che pensano, stai fresco!... No, c’è mica bisogno, se legge, bene, se no, tanto peggio per lui!

D. Ha sempre scritto così, dimenticandosi dei lettore?
R. Sempre.

D. Anche al tempo del Voyage?
R. Sempre. L’ho scritto per pagarmi un appartamento... Semplice: sono nato che c’era la paura delle scadenze! Niente più paura delle scadenze, adesso. Mi son detto: tira il populismo. Scrive Dabit, e gente simile. Ho aggiunto: posso fare lo stesso, io! L’appartamento, e basta con sta rottura delle scadenze!... Se no, mai che l’avrei pubblicato. Avessi una rendita, mica pubblicherei nemmeno adesso. Rinuncerei al gran putiferio, e mi riposerei. Tutti che partano di pensione a quarantacinque anni. Ce ne ho sessantatre, io!...

D. Ma per gli scrittori non c’è pensionamento.
R. Per i medici sì, invece. Ho un proiettile nella testa e un braccio a pezzi. Sono invalido al 75%. Forse basta. Mi son fatto due guerre. Volontario, classe 1912.

D. Allora quando parla di letteratura...
R. No che non mi piace parlarne. Ne parlo perché voglio in tasca un anticipo di Gallimard... Ne parlo perché il denaro vuole che paghi sta casa orribile che costa orribilmente cara, dove da solo passo l’aspirapolvere, da solo lavo i pavimenti, da solo cucino e compagnia bella... Mica per civetteria che lo dico, lei mi capisce. Sta storiella allora, anche sto piccolo fanatismo stilistico, retorico, mi possiede mica al punto che mai e poi mai ci rinuncerei. Se il suo giornale mi dà un vitalizio di 100.000 al mese, rinuncio a tutto, sì, proibito pubblicare, con piacere, anzi con gioia!…

D. All’inizio di D’un château l’autre dice di rimpiangere il Voyage, che è stato il punto di partenza, l’origine di tutti i suoi guai.

R. Sì, di tutte le gran rotture; è uscito e han cominciato a rompere. Céline è il nome di mia madre. Mi credevo di passare inosservato. Mi credevo di fare i soldi dell’appartamento, chiudere sta faccenda e fare di nuovo il medico. Cerca che ti cerca, un foglio, Cyrano, alla fine m’ha beccato. M’è subito diventata impossibile, la vita, dico la vita mia di medico. Mica serio, un medico che scrive. E poi rotture di scatole perché, quella volta, Clichy mica era comunista. Dunque lavoravo per il comune, io, che però era comunista, il comune. Mi facevo i turni di notte, vent’anni turni di notte, l’ambulanza e via morti ammazzati, cadaveri, difterici, etc.... Catalogato, me, facente parte della greppia comunale. E se non ho mai votato in vita mia, fa lo stesso... Ma gli altri medici, reazionari tutti, giù a dire: “Sto porco, lavora per l’amministrazione comunista, lo schifoso!” Lotta continua! Reazionari contro municipio prima, municipio contro reazionari adesso!... Chissà che cavolo, domani! M’ha reso impossibie la vita, sta faccenda! ... N’è passato, di tempo. M’han pure accusato d’antimilitarismo! Parlano e straparlano... A vanvera!...

D. Scrive anche che tutti sembrano volerle rinfacciare la loro stessa ammirazione per il Voyage.
R. Sì, rompono pure per quello!... C’è ancora qualche concessione alla letteratura, nel Voyage, alle belle lettere. C’è ancora la frase che fila... Roba vecchiotta, per me, come tecnica.

D. Oggi le sembra d’essere più avanti?
R. Sì, più categorico e niente clichés, come libertà tecnica e stilistica. Sono mica il Signor Billy!...

D. Lei afferma di non essersi interessato al soggetto, tuttavia ha parlato sia della guerra del ‘14 che di quella del ‘40.
R. Nient’affatto! So mica se Froissart (cito gran nomi perché mi vengono in mente, non per fare il bello) Joinville o Commines si sono impicciati di proposito in quel che narrano... La storia ce li ha ficcati. Io pure, mi ci son trovato dentro... Non ci tenevo proprio, d’andare a Siegmaringen! Solo che volevano cavarmi gli occhi, a Parigi. Farmi fuori! Mi ci son trovato dentro, nel bailamme. Son stato in prigione, a Siegmaringen, in gattabuia, etc... Sbattuto ai quattro venti... Uguale a un giornalista qualsiasi! Giornalisti lo siamo tutti. Senza mai sapere quel che può capitare.. Il tizio che sta in piazza ad Algeri, e gli casca una bomba sul grugno, chiaro che sente per forza l’aria che tira, "poi chiama il giornale! .., Mi ci sono trovato intruppato, a Pétain, me lo dovevo vedere per forza. Solo dopo si scrive, è più comodo. Tipi con la testa tra le mani, che dicono: “Mi piacerebbe raccontare una storia”... Se tu prendi un caso speciale come il mio, uno che è braccato, mica per scherzo, mica braccato per gioco, ma per impalarselo e macinarselo in qualità di pregiudicato notorio, chiaro che ce l’hai pronta, la storia, mica devi sforzarti tanto! Ci hai solo un problema di stile! Più che di struttura, d’architettura...

D. Lei sostiene che le noie sono all’incirca iniziate col Voyage: non lo saranno forse con Bagatelles pour un massacre?
R. L’unico libro che ho scritto per i Francesi, fuori del mio solito riserbo. Mi son detto (ma la segretaria di redazione mica la passerà, sta cosa, no, non la passano mai) mi son detto: proprio nella merda, la Francia, chiaro come il sole, almeno che se la prenda comoda, la truppa, che lasci gli altri a vedersela coi Russi - a quest’ora, l’Algeria mica si muoveva. Ce l’avremmo ancora! Tutti fermi, e il prestigio di prima. Ancora e sempre la grande Francia, i gran vincitori! Roba che ti costruivamo l’Europa. Sì, credevo che bisognava farla, l’Europa! Vedo che ci provano adesso, a farla! Troppo tardi... Mica una risciacquata di piatti, la storia... Adesso mica la puoi fare, l’Europa. Quando c’era l’esercito tedesco, allora sì. Se lo sono fottuto! Bel capolavoro, fottersi l’esercito tedesco! Finito, non c’è più. E vogliono l’Europa, adesso. Con cosa la fai? C’è mica più! Bene! È questo che dicevo. Mi pareva geniale, sta pensata. Mica l’ho mai amato Hitler, io. Gli ho detto ciccia, in Bagatelles. Coglione come gli altri, ma ci aveva il virus. Uguale a Doriot, a Mollet, a Nasser, uguale a tutti sii politici. Bene. “Homo politicus”, caso raro, ma già noto. “L’Europa sono io!” Sì, ma tanto l’avrebbero fatto fuori! Sì che l’avrebbero fatto fuori, una volta esaurito il compito, e poi l’avrebbero rimpiazzato. Intanto lui però faceva qualcosa di costruttivo, faceva l’Europa, un’Europa franco-tedesca. Bene. Faccio gentilmente notare, inoltre, che la Germania era l’ultimo paese presso il quale godevamo di prestigio. Ci trattano da puttane e magnaccia, adesso... La roba più importante, il prestigio! Da non farci più nessun conto, però! Ci portavano alle stelle, in Germania. Da Poincaré in avanti, alle stelle. Una roba da non credere. Pure quello zero di Daladier ce lo aveva, il prestigio... “Prodigi della storia”, diceva un Tedesco. Richelieu se l’era lavorati, col prestigio. Se l’era bluffati... E noi ci andiamo a sputtanare l’ultimo popolo che ci siamo fregati! Sono mica gli Inglesi che ci rispetteranno, a noi, né gli Americani, né altri! Adesso ci tocca l’elemosina: “Un dollaruccio, un nichelino...” Io pensavo all’Europa, invece, e mi dicevo: “Adesso parlo, sicuro che faccio colpo”. Il casino che ho smosso! ... Andare a infognarmi in una faccenda simile! Sì che me ne pento, oh, quanto! Averlo saputo... Poi le ricordo che son dovuto scappare a La Rochelle con un’ambulanza, da Sartrouville... Me la volevano portar via, voleva cuccarsela, l’esercito! Ebbene! ho puntato i piedi, marciaindietro a Sartrouville, se no sarei potuto andare a La Rochelle, ce n’erano ancora di voli per Londra... Due volte colpevole, primo perché parlo inglese uguale al francese. Molto curiosa, sta cosa... Ci ho il dono delle lingue, io. Come i portieri d’albergo, come i Russi!... Ci avevo tutto quel che serve per diventare un tipo interessante, quando adesso vedo dei bavosi che parlano l’inglese come vangassero!... ci avevo il dono, io. Ho ceduto a una smania sacrificale!... Puro masochismo!... Vittima del masochismo... Zitto e chiotto, la gloriosa carriera, e compagnia bella! Invece eccomi materia prima da forca, razza d’un razzista! “Ah, ma è un antisemita, quello lì”- Una gran balla.

D. Ma lei ha scritto sull’argomento cose incontrovertibili.
R. Ho scritto degli Ebrei. Ho detto che complottavano la guerra, che volevano vendicarsi di Hitler, loro. Bene. Sta faccenda mica ci riguardava (la segretaria di redazione non passerà manco questa)! Una faccenda da sbrigarsela fra loro. Si son fottuto l’esercito francese, al tempo della gran colica, nel ‘39... Mica si manda in guerra un esercito che ne ha già vinta una!... Si sa già che perde... Se tu, adesso, gli fai fare una guerra, ai Russi, sicuro che la perdono!... Un esercito che ha già vinto una volta, sicuro che perde, la seconda. Dunque l’han rimandato un’altra volta, l’esercito, coi richiamati controvoglia, e loro se la son squagliata, una gran diarrea, da Breda in Olanda fino a Bayonne. Batosta solenne! E sta batosta bisognava risuscitarla in vittoria, la faccenda che lei ben sa (il giornale non me la passa, di nuovo), e poco importa che in fondo avevo ragione io. Ho ragione da vendere, io! C’è un tale che è venuto a trovarmi di recente e m’ha detto che ci ho dei complessi... No! Sono gli altri che ce lì hanno, i complessi su di me. Se ci ho un complesso, io, è quello d’aver fatto lo scemo con me stesso! Idiota d’un idiota, andarmi a ficcare in una faccenda simile, quando potevo fare come tanti altri!... Dell’una e dell’altra sponda... È quel che mi diceva Marion: “Se sifosse buttato a sinistra oggi avrebbe un piano intero all’Excelsior” E mi citava Barbusse; quando arrivava a Mosca, gli dicevano d’accomodarsi al piano di sopra, a quello di sopra ancora... E io, diobono, stavo nelle latrine a Siegmaringen, io, nella merda fino al collo, una roba schifosa... Ho patito più di tutti, io, e patisco ancora... Ci creperò nell’ignominia, nel disonore, in povertà, e per pura e semplice scemenza... Aver fatto lo scemo, eccolo il complesso! Per il resto, sono gli altri che ce li possono avere, i complessi.

D. Gli altri chi?
R. Tutti quelli che m’insultano, alla più semplice quelli che mi negano il Nobel, un vitalizio, quelli che mi calunniano, quelli che mi sputano, loro sì che ce li hanno, i complessi, in quanto gonzi e pure criminali... Due ordini di complessi: in quanto gonzi, perché non ci hanno capito niente, e poi come criminali comuni: son io che sono la vittima! Mica affar mio, i complessi, affar loro, piuttosto! L’equivoco è palese! Ci avevamo un mito, quello del ‘18: “La Francia che vince, Focb, Pétain, etc.” L’hanno rovesciato, sto mito: via col mito nuovo, De Gaulle che vince, etc... Eroi dappertutto, la Resistenza, e compagnia cantante. Adesso ci campa, la Francia, con sto nuovo mito!...

D. Secondo lei cosa dovrebbero fare i Francesi?
R. Un bel niente. Non possiamo far niente... Siamo quaranta milioni contro 3 miliardi. Come se il distretto di Deux-Sèvres fa la guerra a quello di Bouches-sur Rhone! Chi se ne sbatte? Quando arriverà la fine, l’atomica mica conti da presentare o altro... Succederà, e basta!...


D. E lei si definisce pacifista, antimilitarista?
R. Contro la guerra da capo ai piedi, io che l’ho fatta. Un eroe come Darnand, come mille altri. Una roba diversa, la Francia prima del ‘14, rispetto a quella dopo il ‘14. Tutti sonnambuli, prima del ‘14, tutti filosofi, dopo. Tutti impegolati nella critica di Sartre, Camus... Loro si credono che è meglio “pensare”! Solo doveri, fino al ‘14, e zitti tutti. Son cose che lei non può conoscere, è troppo giovane. L’onestà c’era ancora. Le donne erano oneste, gli uomini sinceri e laboriosi. Roba da non credere. C’erano le puttane, i bordelli, che adesso li hanno chiusi... Ho visto il mondo, io, ho viaggiato in lungo e in largo, medici sudamericani mica scemi che mi ripetevano “La civiltà europea poggia su un treppiede, la cucina, la chiesa e, buon ultimo, il bordello!” Chiaro che un treppiede si regge. Ma se levi il bordello, casca tutto! Perché continuerebbero a venirci, in Francia, gli stranieri? Niente più bordelli! Sotto allora con le mogli, con le nostre figlie... Ho una figlia di trentacinque anni, io, cinque nipoti, sono mica più giovane... Son stato anche sposato, ben accasato, strano a dirsi. Niente più rispetto per nessuno. Una volta, prima del ‘14, si diceva: l’uomo è maiale per natura, ha le fantasie tipiche del maiale; gli passeranno, ci son posti fatti su misura; rispettoso di moglie e figlie, rispettato dagli altri... Ma è roba da pensarci su, mica da stampare.

O. Sarà stampata.
R. Mica possibile stamparla, sta roba lo fa vomitare, il lettore. Lui vuoi esser preso per la manina, il lettore...

D. Cosa si aspetta dal suo prossimo libro?
R. Un anticipo da Gallimard, e basta lì, basta lì!... Finché non arrivo tranquillo alla pensione da medico. 200.000 franchi l’anno, poi basta, andrò in qualche posto, in campagna, e basta. Non scriverò più niente! Mi ci vogliono ancora due anni di lavoro, fino a sessantacinque...

D. Scriverà un altro libro?
R. Sì, un altro. Per Gallimard, sicuro. Mica mi molla, sto farabutto! L’ho rintronato, glien’ho dette di tutte... Roba da fucilazione... Roba da rispedirmi dentro, a vita... Non ha fatto una piega! Poi viene un altro editore, e gli fa “Me lo prendo io, il Celine. Le pago i debiti, rilevo le opere, lei non avrà più a che fare con quel losco figuro”. Mica c’è cascato!... Ci ha mica tanti scrittori, in cassaforte. Non fa che ricevere sbobba, roba rachitica, compiti in classe di pennivendoli... E poi voglio dirle ancora una cosa, deve sapere, lei, che Hitler m’odiava, che m’ha pure censurato... Ero uscito sul Berliner Tageblatt, foglio ebreo, e Hitler l’ha soppresso... Non ha voluto sentir storie, lui! Niente riviste francotedesche, per me, e ce n’è un mucchio che ha continuato a scriverci. Mai visto un soldo, io! Hitler, fosse sopravvissuto, sicuro che mi fucilava. Destino dei non conformisti... Ma non ce l’ha fatta, l’han fatto fuori prima, lui.

D. Sì.
R. C’era già qualcuno che da tempo ci aveva il ticchio di farlo fuori. E avrebbe fatto proprio bene, le cose sarebbero andate a posto prima; sarebbe stato meglio anche trattare la pace nel ‘15 invece che nel ‘18. Io l’ho visto l’esercito del ‘14, ce lo avevo di fronte l’esercito tedesco del ‘14, so cosa dico. Mica stavo a correre dietro alla divisione “Das Reich” in fuga, come Malraux! Stavo in faccia ai tedeschi, io, per fermarli. Questione di fegato. Mica come dire bellaciao. Gente che combatteva, quella... Si pensava solo ad avanzare, noi. E loro uguale!...

D. Lei sostiene di non amare la guerra. E dice che tutto questo è positivo?
R: C’era ordine. C’è mica più; l’ordine. Uomini sinceri, e donne oneste. L’ordine. Uno pizzicato a torturare un prigioniero, subito fucilato. Sevizie contro un prigioniero, subito al muro. Non se ne parlava più... Faceva mica parte dell’esercito, il sadismo. Affatto. Al prigioniero si offrivano sigarette, il rancio, e basta. L’aspetto più ingrato tendeva a smorzarsi.
D. Non crede che possa esserci qualcosa di preferibile all’ordine d’uno stato di guerra?
R. Tutto finito. Mai...

D. Lei crede che tutto finirà con la catastrofe atomica?
R. Mica ce n’è bisogno. I Cinesi non hanno che da venire avanti, armi in spalla. Ci hanno dalla loro l’ydra viva, la natalità. Scomparirà, lei, razza bianca... Chiunque scompare, antropologicamente, in un mondo di gialli. Tutto vero! Il biancospino delle razze, il giallo. Fluorescenze pure, gli altri. Il fondo resta giallo. Mica è un colore, il bianco, ma un fondotinta! È il giallo, il colore vero... Il giallo ci ha tutte le qualità per diventare il re della Terra...

D. Non accadrà certo domattina.
R. Può andare svelta, sta faccenda... La galoppata del ‘39 è durata venti, trenta giorni. Una roba veloce! Può ritrovarsi in Spagna, dico a lei, molto presto! Oh, molto, molto presto!

D. Lei da l’impressione di mettere i suoi desideri al posto della realtà.
R. No, no... le dà fastidio, a lei, perché lei ragiona con sicumera intellettuale... Mica mi dà fastidio, a me, io ormai sono cotto. Posso crepare entro cinque minuti! Per me non cambia niente. Ma lei non l’ha ancora chiusa, la partita... Lei sogna come sognano quelli con l’indomani radioso... Solo che mica ce l’ha l’indomani radioso, la razza bianca. Ha mandato a cacare il mondo, lei, e adesso il mondo la spedirà a cacare, a lei! Lei che è tutta presa dall’igiene. Le guerre d’una volta finivano per le malattie; oggi non finiscono più per le malattie, ma proprio per la guerra.

D. Esiste la malattia atomica.
R. Sì, ma quel che la fa fuggire, la gente, è la fifa, e basterà.

D. Quando la nube radioattiva colpirà...
R. No che non colpirà affatto, la nube, perché prima la Signora Molotov e la Signora Krusciov parleranno ai rispettivi mariti, nell’orecchio: “Ma smettila con le scemenze, credi che loro, gli Americani, non ce l’hanno, e invece ti dico che ce l’hanno, ecco come ti preoccupi del nostro avvenire... della bambina!” Basterà la pura paura, e tutti in riga. Parigi sarà divisa in tre zone, zona americana, zona Russa, zona francese: Montmartre!... E i Francesi, soliti lacchè, a farla da vaso e scendiletto per la bisogna!…

D. Li vede malmessi, i Francesi.
R. Mica mia, la colpa! Ma dell’igiene, Pensi che, diceva, Napoleone; “la Cina è un gigante che dorme; appena muoverà il mignolo farà tremare il mondo”... Infatti, adesso, alza solo il mignolo… Gli basterà d’alzarsi in piedi! Masse d’allupati su e giù per l’Europa... Non c’è posto meglio di questo qui. Gli altri paesi, non ci si vive. La Russia? Si crepa dal freddo. E non c’è niente! Mettono su sti miseri kolkoz ma possono mica produrre niente, fa troppo freddo! L’Africa non dà niente... Troppo caldo! C’è mica, altrove, un clima come qui... Prova a portare una divisione di Cinesi a Cognac, e li devi sostituire ogni otto giorni!...

D. Forse non esiste l’uomo, ma le idee esistono: prova ne sia che non saremmo qui, senza le idee (non solo stile) del Voyage.
R. Facile dire le idee, le idee... Ma non è sta roba che m’interessa, è il colorante, invece. Mi tirano solo i coloranti, a me, Fatto e finito. “Maneggiare le idee”, sta scritto nel Dizionario. Se le smaneggia, lei, le idee!

D. Anche lei ne ha maneggiate, come tutti!
R. In quanto puri veicoli. Il resto non m’interessa.

D. Nota qualche giovane, fra i romanzieri?
R, No. Non sgobbano abbastanza. Bisogna sgobbare molto... Un’epoca fatta di televisione, radio, viaggi, macchina, giornali, magnificamente illustrati, inchieste, polizie, vuole la bella trama... Les Deux Magots formicola di belle trame... Ma lo stile, una roba tutta diversa. No, non noto niente d’interessante. Se no, me ne starei all’erta. Sto mica all’erta, io.

D. Dunque dopo il ‘14, la sua giovinezza, tutto è degenerato? Niente più virtù, senso del dovere, scrittori, critici, al limite niente più Francesi… Che spiegazione dà d’un fenomeno che pure dovrebbe deprimerla?
R. L’alcolismo, prima di tutto. I 1.200 miliardi in alcolici che si bevono in Francia, ogni anno.. Delle gran belle spugne! Le so bene le virtù alcoliche, illusione di potenza... Pericolosissima... illusione di forza... Parole e pretese a vanvera. Poi il fumo. 700 miliardi l’anno. Ti dà sensazioni falsopoetiche e falsoprofonde, il fumo, e pure false idee. Io, per me, darei retta solo a uno che beve l’acqua! E che non è sempre lì a ruttare e a digerire!... Ma non c’è famiglia senza pappata di mezzogiorno. Pigliano a mangiare, bere aperitivi, masticare, poi ruttano, si gonfiano, scorreggiano, il mucchio d’affari che è la digestione... Un uomo d’astinenza ferrea, lui, ha solo due ore buone, in un giorno. È già tanto! Nessuno che te la vuole, st’igiene giansenista. Guarda i signori. «Proustizzano»… I prolet copiano i signori, «proustizzano», anche loro! Tutta roba che te l’abbrutisce, l’uomo. Muore, e non ha mai pensato. Però ha preso partito! Per cosa, ci si chiede, ma non importa! Piena l’Enciclopedia di partigiani. Ma sta rosetta è troppo umile, troppo piccola per interessarla, la gente. Guarda il merletto, han tentato di resuscitarlo; ma nessuno lo vuole più, il merletto! Spariti i conventi, spariti i merletti. Del resto vive, sta gente, e tu mica puoi vivere, se lavori. Uguale il vizio. Tutto vizio medicina bordelli, io, da capo ai piedi! ... Mi son dovuto tirar fuori, però, me lo diceva, Marie Bell: “Tu non sei un vizioso, perché se lo fossi non lo diresti: ci sguazzeresti e basta”. Se non ci sei dentro, sì che ne puoi parlare. Uguale la politica… Ci sono dentro, tutti. Vogliono spendere. Dentro. Vogliono le moine dei nipoti... La carezza sul talamo, quando dicono: “Cara, proprio un bel lavoro oggi”... Consumano. Godono. Sborrano, qualche giochetto porco, uguale ai giochetti porchi di tutti gli altri!... Sono un medico molto serio e scrupoloso, io, invece. Bisogna essere il contrario di quel che si scrive. Eccola, la sorpresa.

D. Pensa d’essere andato oltre, col suo ultimo libro?
R: Ogni autore lo dice: “Sono andato oltre”. La storia di D’un château l’autre è buffa perché è buffo vedere 1.142 condannati a morte tutti in un solo paesino... Mica se ne vedono spesso! Davvero raro un memorialista di 1.142 condannati a morte! Un paesino tedesco, e il mondo intero, contro... Perché quelli di Buchenwald, tutti che li aspettavano per abbracciarli, sbaciucchiarli, mentre questi, qui di Siegmaringen, questi qui li braccavano per sbudellarli ... Buffo davvero, capita mica spesso! Buffo, 1.142 già morti e rimorti che giocano a trovare quello che può pagarla per tutti! E io stavo là in mezzo perché ero antisemita, io... Una perla rara. “Io, io ero collaborazionista ma mica antisemita, lui sì, quello, lui era antisemita. Eccovelo, è lui che pagherà per tutti”. Gran bella schifezza umana, la viltà!... Lei certo ricorda l’esecuzione di Damiens, del regicidio. Il matematico La Condamine stava sul patibolo e, mentre il condannato parlava, chiese agli aiutanti del boia: “Cos’è che dice, cos’è che dice?” E gli aiutanti, seccati “Via di lì quel rompiscatole”; ma il boia: “No, no, lasciatelo stare, è un appassionato dì queste cose”... Gran numero d’appassionati, qui da noi, e gran belle trame. Lei piuttosto avrà poco in mano, la segretaria di redazione rivedrà un po’ il tutto, che non possa dispiacere a qualcuno. Ma non c’è problema. Io sono vecchio, e lei è giovane. Lei va incontro alla vita...

Traduzione a cura di Massimo Raffaeli, da “lengua” n. 8 (1988), si ringrazia Gilberto Tura per la segnalazione.


lunedì 2 gennaio 2012

L'argot, il gergo, la rivolta



"Sembrava che non comprendesse che le pudicizie e le sensibilità aristocratiche, innate o apprese, concorrono a formare molto dello splendore della letteratura. Nella mia opinione, egli scoprì un più alto e più terribile ordine di verità letteraria ignorando il vocabolario ingessato delle gentildonne e dei gentiluomini e usando, invece, il linguaggio più esauriente dei furbi e tormentati delinquentelli".

Kurt Vonnegut, prefazione alla Trilogia del Nord di Céline.

Céline disse che l'argot, il gergo, nasce dall'odio, dalla miseria, e serve allo sfruttato per esprimere la sua avversione (e invidia) verso lo sfruttatore; abbiamo trovato quindi curiosa e interessante questa voce dell'Enciclopedia di Polizia, Hoepli 1938, "ad uso dei funzionari di PS, CC, magistrati, avvocati, sindaci", crediamo tuttora in uso - nell'attuale spirito democratico - dai funzionari di cui sopra, perlomeno nelle loro categorie mentali.

GERGO

Nel linguaggio comune quando si parla di gergo s'intende riferirci a quel linguaggio convenzionale adoperato con malizia da associazioni interessate a non far conoscere i propri discorsi (ladri, detenuti, briganti, ecc.) spinti dalla necessità di nascondere il vero significato delle proprie parole. In tal caso il gergo si presenta come un'arma di difesa: l'individuo che impegna la lotta nell'ambiente che lo circonda, lotta che può variare di forma e di grado e da minima e tenue e contro il ristretto numero di persone può assurgere a terribile e violenta, contro l'intera società, l'individuo dico, che impegna questa lotta, ha per arma il gergo. E allora la lingua si traveste completamente di maschere ipocrite, di cenci orridi, di metafore orribili, che nascondono il male e la lotta...