martedì 26 luglio 2011

Il mio amico Céline, di Robert Poulet



L'amico Maurizio ci ha inviato un pezzo scritto da Filippo La Porta su 'Left'.

Andrea

Va bene, è dura passare sopra al Cèline collaborazionista, antisemita, filotedesco, etc. della fine degli anni ’30. E infatti non lo farò. Il suo ruolo in quel periodo è stato aberrante e le sue responsabilità politiche risultano inoppugnabili (e anche se per un ebreo denunciato alle autorità - sembra per gelosia - poi ne ha salvati tre…). Però vale la pena rileggere criticamente i suoi libelli, ridimensionarne la parte dovuta a un obnubilamento paranoico, perché i suoi due primi romanzi, Viaggio al termine della notte e Morte a credito (tradotto magnificamente da Caproni) rappresentano dei vertici della narrativa novecentesca. Il primo, che entusiasmò Trotzskj, Aragon, Sartre e la De Beauvoir, etc., univa una prosa jazzistica, dissonante, colta e gergale, realistico-visionaria (la celebre petit musique) [in realtà caratteristiche dei romanzi successivi, Nota mia] alla scelta “populista” di stare dalla parte dei disgraziati, dei paria e dei senza potere. Probabilmente l’obnubilamento ideologico nasceva dalla sua visione pessimistica della natura umana: così lurida, vigliacca e indisciplinata da richiedere un ordine ferreo! In questi dialoghi con Robert Poulet (Il mio amico Céline, Elliot), con introduzione di Massimo Raffaelli, ritroviamo lo scrittore anarchico, indocile a qualsiasi appartenenza, "individualista feroce, con un fondo malcelato di tradizionalismo e il gusto della rivolta” Poulet, quasi alter ego (anche lui collaborazionista, processato e poi amnistiato) lo va a trovare nel 1956 a Meudon, periferia parigina, dove vive con la fedele Lucette, il vecchio pappagallo stordito e i molossi, stretto nei suoi golf malandati , “un’ombra cenciosa e vacillante”(Raffaelli), e dove cura gratis – lui senza soldi - [non esattamente "senza soldi", senza nulla togliere alla meritoria opera di medico dei poveri di Céline, Nota mia] i poveracci della banlieu. Céline dice tra l’altro: “Un uomo è lì davanti a te e soffre; e allora tu fai qualosa per non farlo soffrire più”: Poi ricorda il “delirio” dei pamphlet maledetti, spiega come l’equivoco sugli ebrei nasce dal fatto che allora nella sua testa erano bellicisti e lui odia la guerra (il che non lo assolve ma ci aiuta a capire). Parlando di letteratura osserva che certo la verità si dice “arrangiandola, barando, se capita”, però nei romanzi che legge “tirava un’aria falsa, nel tono del racconto e nel giro delle frasi”. Il suo pathos autodistruttivo per la verità me lo apparenta a un altro genio sregolato ed espressionista come Baudelaire. Il comunismo sovietico lo delude perché sostituiscono il padrone con il commissario del popolo, mentre lui è per l’uguaglianza assoluta, “l’avvocato come lo stagnino… e la signora moglie del ministro i piatti se li lava, e sua Eccellenza è lì che l’aiuta, grembiule e strofinaccio”. Insomma, niente in lui che possa essere davvero utilizzabile da una qualunque Casa Pound di oggi [quando si avrà di nuovo (negli anni '70 e 80' si poteva, anche da sinistra) il coraggio di scrivere su Céline e company senza pagare dazio sarà sempre troppo tardi, Nota mia]… Il ritratto che fa Poulet del volto di Céline scavato, “disfatto dalla sofferenza” è memorabile: “ l’occhio destro, spalancato, plebeo, duro, ha qualcosa di beffardo e canzonatorio, mentre nell’occhio sinistro, socchiuso, più nobile, “ vive il galantuomo stravolto dal dolore, colui che ha voluto dire al prossimo suo cose utili e urgenti”. Non si poteva enunciare meglio la schizofrenia umana e intellettuale di Céline, “”il bambino, lo scemo del villaggio, il mostro, il brontosauro fossile”

Filippo La Porta

giovedì 21 luglio 2011

Conosco troppi luoghi!... dei luoghi immensi... dei luoghi minuscoli...





Non è l'uomo antipatico, posso mica dire, von Raumnitz... è il crucco da prendere com'è... da dov'è!... sono stato da loro sti crucchi qui, Nord Prussia... Brandeburgo... ci sono stato da piccolo, 9 anni... e più tardi, come internato... non mi piace il paese, ma insomma... è pianura di terra povera e sabbie, fra di quelle foreste!... terra di patate, maiali e soldatacci... e pianure da tempeste! scusate! di cui non si ha idea qui!... e di quelle foreste di sequoie che non si ha l'idea neppure !... l'altezza di sti giganti! cento trenta metri!... mi direte: e in Africa?... oh! mica uguale!... mica delle sequoie! pensate che un poco io me ne intendo!... conosco troppi luoghi!... dei luoghi immensi... dei luoghi minuscoli... conosco la Prussia dei von Raumnitz... mica dei paesaggi da turisti!... piccoli lugubri laghi, foreste ancora più funebri... com'è Raumnitz... da dove viene... prusso-perfi-do signorotto crudele sinistro e porco... e poi ciò nonostante dei lati buoni... una certa grandezza... il lato Graal, Ordine Teutonico...

Da un castello all'altro, L.-F- Céline.

lunedì 11 luglio 2011

"Banda di marionette" di Alberto Bassetti e Alessandro Cavoli...




... e la recensione di Marcantonio Luicidi:

Céline, il sogno dell’uomo in rivolta
Dagli ultimi giorni di un gigante delle lettere francesi, un dramma di Alberto Bassetti costruito come una serie di flash-back del Novecento

Non è ancora perfetto, mancano dei passaggi, dei punti di snodo, ma il testo scritto da Alberto Bassetti su Louis-Ferdinand Céline, Banda di marionette, c’è, esiste, ha una sua forza e una sua originalità. L’ha messo in scena l’altro giorno un giovane regista, Alessandro Cavoli, al teatro dei Comici, palcoscenico piccolo ma molto elegante all’interno del secentesco palazzo romano di Santa Chiara dove si trova anche la stanza, oggi una cappella, in cui morì Santa Caterina da Siena. Tuttavia palco poco adatto a uno spettacolo che, già adesso in questa messinscena provvisoria e di studio, svela ambizioni registiche ed estetiche necessitose di spazi più ampi (e forse meno segnati architettonicamente). C’è una danzatrice che qui per forza di cose non può essere valorizzata, si intuiscono perlustrazioni del cabaret anni Trenta e dei piano-bar anni Cinquanta, si afferra l’idea ancora incompiuta che attorno a uno degli scrittori più importanti, più difficili, più intelligenti degli ultimi cento anni, del quale il prossimo primo luglio ricorrerà il cinquantenario della morte, autore e regista intendono fare girare una visione del Novecento. Quindi per osservare il risultato reale dell’operazione si dovrà aspettare la stagione prossima e un palcoscenico diverso, tenendosi per ora stretta la soddisfazione di potere assistere per una volta a un vero work-in-progress che si sostanzia con dimostrazioni al pubblico dello stato dell’arte.

Bassetti parte dagli ultimi giorni di Céline che ha appena terminato il romanzo Rigodon e sente la fine approssimarsi. Un uomo “contro” fino all’ultimo, un pessimo carattere che attacca e deride l’umanità intera. Un uomo in rivolta, ergo un ottimista in verità, e non un pessimista come si tende a credere, giacché è del primo la disperazione causata dallo iato fra l’altezza alla quale pone le potenzialità umane e la bassezza dei comportamenti individuali e collettivi. Il vero pessimista esercita la rinuncia, non la lotta; vive nell’avvilimento e nella convinzione che gli esseri umani non sono redimibili, ritiene ogni tentativo anche violento e sprezzante di svegliare le coscienze inutile, addirittura ridicolo. Céline il sognatore quindi il combattente, lo scrittore che giudica la codardia il miglior modo di evitare le guerre e i loro orrori, si dipana durante lo spettacolo mediante una serie di flash-back: illuminazioni brevi d’episodi biografici racchiusi in scene indipendenti - l’arruolamento come volontario nella Grande guerra, gli episodi con le mogli, le amanti, gli ammiratori, i detrattori, i giornalisti, la stesura della sua tesi di laurea sul dottor Semmelweiss, lo scienziato che studiò la febbre puerperale e passò alla storia come “il salvatore delle madri”.

Ancora manca un approfondimento sul Céline viaggiatore per il mondo e soprattutto medico dei poveri a Montmartre, passaggi fondamentali nella formazione del suo pensiero. Ma questi aspetti verranno sviluppati drammaturgicamente e registicamente in previsione della messinscena invernale. Il regista Alessandro Cavoli è anche l’interprete di Céline e rischia d’innamorarsi del suo personaggio perdendone il controllo e finendo per condannarlo a uno status troppo prevedibile di poeta maledetto. Viceversa darà gran prova della sua arte se troverà un equilibrio, se saprà restituire un’idea complessa del personaggio. Sembra invece già più padrona dei suoi personaggi Maria Teresa Pintus, impegnata nel doppio ruolo dell’ultima moglie Lucette Almanzor e, con una sensualità molto spiritosa, dell’amante americana Elizabeth Craig che Céline aveva soprannominato l’Imperatrice e alla quale dedicò il Viaggio al termine della notte. Lavorano anche Ugo Carlini, Mattia Caroli, Gianni Tudino, Cristiana Vindice e la danzatrice Eleonora Cantarini.

di Marcantonio Lucidi

3 giugno 2011

http://www.avvenimentionline.it/content/view/4039/187/

sabato 9 luglio 2011

Céline e il suo doppio. Com’è difficile celebrare un genio cattivo, di Alan Riding




Céline e il suo doppio. Com’è difficile celebrare un genio cattivo
Alan Riding (NY Times) per “la Repubblica”

Gli anniversari di solito sono una buona occasione per celebrare grandi artisti del passato. E così sembrava dovesse essere anche per lo scrittore francese noto con il nome d´arte di Louis-Ferdinand Céline, morto cinquant´anni fa. I preparativi per commemorare la ricorrenza erano già in fase avanzata quando qualcuno ha cominciato a rimarcare che Céline era un feroce antisemita, che fomentò l´odio nei confronti degli ebrei prima e durante l´occupazione tedesca della Francia.Il problema è che la Francia venera ancora Céline, non per le sue idee politiche ma per il suo modo di scrivere, soprattutto in Viaggio al termine della notte. Quando questo straordinario romanzo semiautobiografico fu pubblicato, nel 1932, cinque anni prima che Céline abbracciasse l´antisemitismo come suo nuovo credo, fu subito salutato come un capolavoro, e oggi nella letteratura francese moderna occupa un posto paragonabile a quello che occupa per la letteratura inglese l´Ulisse di Joyce.Ma è possibile separare il Céline scrittore dal Céline uomo?Nel suo caso, la distinzione non è così netta, perché ha scritto anche tre pamphlet contro gli ebrei – Bagattelle per un massacro (1937), Scuola di cadaveri (1938) e Le belle bandiere (1941) – che vendettero bene proprio perché era un autore famoso. Per i suoi ammiratori, però, importano soltanto i suoi meriti letterari.Lo sconcerto per i comportamenti personali di artisti acclamati naturalmente non è un fenomeno inedito. Anzi, siamo attratti, come se sentissimo il bisogno di sgonfiare il mistero del loro dono, da biografie che “umanizzano” creatori famosi sottolineando i loro limiti come coniugi, o la loro nevrotica insicurezza, o il loro debole per l´alcol e le droghe.Ma è un altro discorso quando gli artisti cercano (o, come spesso succede, ci si aspetta che cerchino) di influenzare l´opinione pubblica. In questi casi, possono aspettarsi di essere giudicati per qualcosa di più che per la loro arte.Sono innumerevoli gli esempi di artisti, in particolare scrittori, che hanno preso posizioni politiche. Aleksandr Solzhenicyn, ad esempio, è ricordato, da un numero di persone molto superiore a quello dei suoi lettori, per aver denunciato il comunismo sovietico; il premo Nobel per la letteratura del 2010, Mario Vargas Llosa, nel 1990 si presentò senza successo alla corsa per la presidenza del Perù; e la dissidenza esplicita dell´artista cinese Ai Weiwei recentemente gli è costata un soggiorno dietro le sbarre.Al tempo stesso, il coinvolgimento politico comporta il rischio di finire dal lato sbagliato della storia. E in questo senso si può tracciare un parallelo tra Céline e Richard Wagner.Nel saggio Il giudaismo nella musica, pubblicato da Wagner sotto uno pseudonimo nel 1850, il grande musicista scriveva della «nostra naturale ripugnanza contro la natura giudaica». Anche se la sua animosità nei confronti degli ebrei non era livorosa come quella di Céline, l´antisemitismo è associato alla sua identità pubblica fin dagli anni Trenta, quando diventò il compositore preferito di Hitler.Quindi dovremmo boicottare la sua musica? Israele per molto tempo ci ha provato, anche se il direttore d´orchestra israeliano (e nato in Argentina) Daniel Barenboim ha sfidato questo divieto ufficioso, eseguendo nel 2001 a Gerusalemme l´ouverture wagneriana del Tristano e Isotta, e dichiarando l´anno scorso che «un giorno dovremo liberare Wagner» dalla sua associazione con Hitler e i nazisti.Potrà succedere lo stesso per Céline? Non è stato certo l´unico scrittore francese a vomitare dichiarazioni antisemite durante l´occupazione tedesca. Ma mentre, per fare qualche esempio, Pierre Drieu La Rochelle si suicidò e Robert Brasillach fu fucilato dopo la liberazione, Céline fuggì in Danimarca, e dopo un´amnistia tornò in Francia, nel 1951, da uomo libero. Comprensibilmente, per qualcuno il desiderio di vederlo punito non è finito con la sua morte.D´altra parte, a differenza di Drieu La Rochelle e di Brasillach, Céline è ancora molto letto e insieme a Proust e a Camus rappresenta la pietra angolare della letteratura francese del Novecento. Ed è sicuramente per questo motivo che all´inizio di quest´anno il ministero della Cultura francese ha considerato normale includere l´anniversario della sua morte tra gli eventi culturali rilevanti del 2011.Poi Serge Klarsfeld, famoso cacciatore di nazisti che perse il padre nell´Olocausto, è intervenuto, sostenendo che la Francia non doveva celebrare un uomo che perorava lo sterminio degli ebrei. Temendo problemi, il ministero della Cultura si è affrettato a dissociarsi da Céline e dall´anniversario, suscitando però lamentele e accuse di censura.Tutto questo trambusto tuttavia non è stato inutile. Quest´anno è uscita una nuova, importante biografia di Céline, più altri libri che analizzano aspetti diversi della sua scrittura. Numerose riviste inoltre hanno dedicato allo scrittore corposi supplementi letterari. Ma almeno i funzionari pubblici oggi dovrebbero restare in silenzio. E gli ammiratori del Céline scrittore non possono più ignorare il Céline uomo. Un genio? Probabilmente. Cattivo? Senza dubbio.

Di seguito, la lettera inviata a Repubblica dall'amico Maurizio:

L'articolo apparso ieri su Repubblica, solleva una questione; attuale: come celebrare oggi un autore come Céline? Un uomo la cui scelta fu quella di occupare il posto di marginale; inclassificabile. L'esilio di Medoun dopo le accuse di collaborazionismo, fu il culmine di una vita vissuta da marginale. In quel luogo fisico Céline ha lasciato il suo corpo, degradandolo, lasciando che a parlare fossero solo le sue opere. L'autore di quel Voyage che ha svelato le angosce dell'uomo contemporaneo, incarna alla lettera quelle caratteristiche di maestro come le indica Filippo La Porta: irregolare, scomodo, inappartenente. Céline il rabbioso, paranoico e antisemita, non ha edificato monumenti al suo narcisismo. Compiendo una scelta incomprensibile in un tempo di narcisi che si fanno fotografare sulla copertina, intellettuali da festival multipli, antiberlusconiani dell'ultima ora : staccare la persona dalla sua opera per essere 'puro stile'. Céline, insensibile alle edulcorazioni, ha mostrato con coraggio, sino alla fine, la deriva delle sue pulsioni di odio. Celebrarlo è accettare in toto quel brutto che lui ha mostrato di se e del mondo: antisemitismo compreso.

Maurizio Montanari

giovedì 7 luglio 2011

100.000 volte Céline!

Abbiamo superato le 100.000 visite!


Gilberto e io ringraziamo i sostenitori "storici" del blog e le nuove leve, sperando che l'attività di questo piccolo spazio continui a fornire spunti per i céliniani provetti, e uno stimolo a leggere i libri del nostro Céline a numerosi nuovi lettori!

Andrea

martedì 5 luglio 2011

Louis-Ferdinand Céline, «Céline ci scrive - Le lettere di Louis-Ferdinand Céline alla stampa collaborazionista francese, 1940-1944»



A cura di Andrea Lombardi
Prefazione di Stenio Solinas


Presentiamo qui, per la prima volta in italiano, le discusse lettere e gli scritti di Louis-Ferdinand Céline alla stampa collaborazionista francese e apparse su “Je suis partout”, “Au Pilori”, “Germinal”, “La Gerbe”...
I temi toccati da Céline in queste lettere “maledette”, vanno dalla disfatta del 1940 e Vichy, gli ebrei, il razzismo, la guerra, la collaborazione franco-tedesca e gli intellettuali, alla polemica letteraria contro Proust, Cocteau e Peguy. Nel volume sono anche riprodotte le pagine originali delle ormai introvabili riviste e quotidiani dove apparvero gli scritti tradotti, mentre le appendici comprendono la risposta di Céline alle accuse della Procura francese, un ricordo di Céline scritto da Karl Epting, direttore dell’Istituto Tedesco di Parigi, un breve saggio sulla cultura politicizzata della Sinistra in quegli stessi anni e uno sui rapporti tra gli intellettuali francesi e tedeschi, e numerose fotografie.

F.to 15x21, pagg. 240, numerose ill. in b/n, brossura, Euro 25,00

Edizioni Il Settimo Sigillo, info@libreriaeuropa.it, tel. 06.3972.2155