martedì 25 agosto 2009

Céline in Italia



Ringraziamo di cuore Michele Fabbri per averci inviato la sua recensione al libro di Makovec Céline in Italia, edito da Settimo Sigillo, Roma.

Céline in Italia

Maurizio Makovec ha pubblicato un bel libro sulla fortuna letteraria di Céline in Italia. Il volume, introdotto da una illuminante prefazione di Alain de Benoist, è diviso in due parti: la prima parte è dedicata alla critica e alle interpretazioni di Céline nella cultura italiana, la seconda parte passa in rassegna le traduzioni italiane delle opere di Céline. La critica italiana si accorge presto del fenomeno Céline, e già nel 1933, a un anno dalla pubblicazione del Voyage au bout de la nuit, si leggono sulle riviste italiane le prime considerazioni su quest’autore, sebbene talvolta superficiali e fuorvianti (Guglielmo Serafini vede nel romanzo una «letteratura di propaganda proletaria»!). Più acutamente, altri critici vedono nel Voyage una potente descrizione della condizione esasperata dell’uomo moderno, e, comunque, il dato importante è che Céline negli anni ’30 viene letto da nomi che saranno decisivi nella letteratura italiana del XX° secolo: Bigongiari, Luzi, Betocchi, Bonsanti. Nel dopoguerra non ci sono significativi interventi in Italia riguardanti Céline, fino a quando, nel 1964, esce Morte a credito, tradotto dal poeta Giorgio Caproni, con un saggio introduttivo del prestigioso critico Carlo Bo. Il libro, introdotto in Italia da questi due nomi autorevoli conosce un buon successo di pubblico e di critica, di conseguenza l’editoria italiana è indotta a pubblicare le traduzioni di altre opere, che continuano a destare un vivace interesse da parte di intellettuali come Guido Ceronetti, Giovanni Giudici, Giovanni Raboni. Nel 1981 compare la traduzione di Bagattelle per un massacro, ad opera di Giancarlo Pontiggia. La pubblicazione di questo pamphlet antisemita, scatena, ovviamente, molte polemiche, e dalla cultura progressista militante si levano lamentazioni rituali fra le quali si segnala quella della poetessa Bianca Maria Frabotta, che scrive: «il famosissimo protagonista del Voyage è il coglione che scrive Bagatelles, e se qualcosa è cambiato è solo il rapporto tra autore e protagonista». In ogni caso i critici più intelligenti, come Ernesto Ferrero e Giovanni Raboni, colgono il valore dell’opera, che è caratterizzata da una notevole vis polemica, ed ha una fondamentale importanza documentaria. Importantissima, poi, è la traduzione del Voyage di Ernesto Ferrero, del 1992: questa versione, accolta con favore dai lettori, consacra definitivamente Céline presso il grande pubblico. Nella seconda parte del libro, Makovec passa in rassegna le traduzioni delle opere di Céline, mettendo a confronto i tentativi dei vari autori che si sono cimentati in quest’impresa. Com’è noto, il linguaggio di Céline ha uno spiccato carattere popolare, è infarcito di parole che provengono dall’argot, il gergo dei bassifondi parigini, e spesso riproduce il parlato di persone incolte. Forse per questo particolare impasto linguistico, nonché per lo struggente lirismo di tante sue pagine, Céline, come si è visto, ha attratto l’interesse di importanti poeti italiani. Secondo Makovec, i traduttori che hanno saputo rendere meglio Céline in italiano sono Ernesto Ferrero, Giorgio Caproni, Giovanni Raboni, Gianni Celati, Giuseppe Guglielmi. Naturalmente il gusto dei lettori cambia attraverso il tempo, e un linguaggio particolarmente vivace come quello di Céline, avrebbe bisogno di costanti aggiornamenti nella traduzione. Makovec rileva inoltre come spesso i traduttori facciano ricorso a termini dialettali italiani per tradurre l’argot, ed essendo molti di questi traduttori di area padana, una parte di pubblico italiano non è sempre in grado di capire tutti i termini utilizzati. Makovec in questa parte del libro mette a confronto lo stesso brano in due traduzioni diverse, evidenziando differenze talvolta sorprendenti fra traduzioni «brutte ma fedeli» e traduzioni «belle e infedeli». Senza nulla togliere al libro di Makovec, ci sembra opportuno rilevare una imprecisione nella rassegna delle opere tradotte in italiano: Makovec afferma che non è mai stato tradotto il pamphlet antisemita L’école des cadavres. In realtà è esistita una traduzione italiana che però non è più in commercio (Céline, La Scuola dei cadaveri, Soleil, S. Lucia di Piave, 1997). In conclusione il libro di Makovec è un ottimo punto di partenza per i lettori italiani che vogliono approfondire la conoscenza di uno straordinario e controverso autore che, piaccia o meno, è stato indubbiamente uno dei grandi veggenti del XX° secolo.

Michele Fabbri

Maurizio Makovec, Céline in Italia. Traduzioni e interpretazioni, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2005, pp.240, euro 20,00.

venerdì 21 agosto 2009

Parigi: Ernst Jünger e Louis-Ferdinand Céline




Frequentando entrambi i salotti letterari parigini, Céline incontrò più volte l’intellettuale tedesco Ernst Jünger, decorato della Pour le Mérite nella prima guerra mondiale e richiamato nella Wehrmacht. Jünger citò più volte Céline (anche con lo pseudonimo di “Merline”) nel suo Diario del 1941-1945, Irradiazioni, talvolta in maniera meno che encomiastica. Riportiamo alcuni brani del diario di Jünger:

Parigi, 7 dicembre 1941

Nel pomeriggio all’Istituto germanico, Rue Saint-Dominique. Fra gli altri c’era Merline, grande, ossuto, forte, un po’ goffo, vivace nella discussione, anzi nel monologo. È caratteristico quel suo sguardo da maniaco introvertito, che riluce come dal fondo di una caverna. Non guarda né più a sinistra né a destra: si ha l’impressione che cammini incontro a una meta sconosciuta. “Io ho la morte sempre al mio fianco”, e indica una sedia come se ci fosse seduto sopra un cagnolino. È sorpreso, urtato di sentire che noi soldati non fuciliamo, non impicchiamo e non sterminiamo gli ebrei; sorpreso che qualcuno, avendo una baionetta a disposizione, non ne faccia un uso illimitato. “Se i bolscevichi fossero a Parigi vi darebbero un esempio, vi mostrerebbero come si pettina la popolazione, quartiere per quartiere, casa per casa. E avessi io la baionetta, saprei cosa farne”.


Parigi, 14 marzo 1943

Di sera, da Armance, che è inferma: si è ferita a un piede a casa di Céline. Mi ha raccontato che questo autore, nonostante le sue grandi rendite, è sempre a corto di denaro, poiché lo distribuisce completamente alle prostitute, che, con tutte le loro malattie, ricorrono alle sue cure.

Parigi, 16 novembre 1943

Di sera all’Istituto tedesco. Vi era lo scultore Breker con sua moglie, che è greca; inoltre la signora Abetz e le simpatiche figure di Abel Bonnard e Drieu La Rochelle, contro il quale nel 1915 ho scambiato colpi di fucile. […] Céline, con le unghie sporche: entro ora in una fase nella quale la vista dei nichilisti mi diviene fisicamente insopportabile.


Il solitamente acuto Jünger non si rende conto che Céline stava semplicemente recitando la parte del perfido nichilista, come suo solito con gli interlocutori che meno gradiva. Céline sarà stato senza dubbio sempre più soddisfatto di abbindolare l’altezzoso boche, e di suscitare la crescente indignazione dell’algido e aristocratico intellettuale ed esteta tedesco, combattente come lui nella prima guerra mondiale. Avvenimento del quale Jünger, a differenza di Céline che ne narrò soprattutto gli orrori, fu glaciale e appassionato cantore nelle sue prime opere, evocando la grandezza del combattente che si ergeva contro le tempeste d’acciaio degli scontri di materiél.
Andrea Lombardi

martedì 18 agosto 2009

Céline, Mea culpa e La bella rogna



Céline, Mea culpa e La bella rogna
di Alessandra Gentile


Da Diorama Letterario, n. 50 del 7/1982

Ancora Céline, e ancora pamphlets: il primo e l’ultimo, violenti, implacabili, agitati dall’irriducibile coraggio della denuncia minuziosa e feroce di una società in putrefazione. La casa editrice Guanda si propone così di continuare il discorso iniziato nel settembre 1981 con la pubblicazione di Bagattelle per un massacro, alla riscoperta del “caso Céline”, che ancora oggi si presenta ai più come motivo di qualche perplessità, soprattutto dal punto di vista ideologico. Mea culpa è del 1936 (sarà pubblicato nel 1937): Céline è già noto per Voyage au bout de la nuit (ottobre 1932) e Mort à credit (luglio 1936). Dopo quello che Pierre de Boisdeffre chiama “l’idillio democratico di Céline”, culminato non felicemente a Médan nel 1933 col discorso commemorativo per il 31° anniversario della morte di Zola (Hommage à Zola), maturano le premesse per la rottura definitiva fra Céline e la società del suo tempo (che è poi rimasta la stessa anche per noi), segnatamente nei suoi aspetti più marxisti e borghesi: nel clima storico e sociale incerto e travagliato della Francia di quegli anni, Céline rivela una ribollente avversione alla politica, ormai sempre più farisaicamente intesa, che egli accusa apertamente di subordinare la condizione umana a sistemi sociali non autentici: e pervaso com’è dalla convinzione bruciante della funzione profetica e purificatrice del poeta, denuncia la preoccupante incapacità della politica contemporanea di fronte al pericolo imminente della guerra, incapacità giudicata a ragione foriera di apocalittiche conclusioni.
Tutt’altro che opportunista (accusa, questa, mossagli ripetutamente e priva peraltro di fondate giustificazioni) e invece decisamente contrario ad ogni forma di politica, ritenuta in qualche modo complice della morte, nel settembre ’36 Céline parte senza esitazioni alla volta dell’URSS, con l’unico scopo dichiarato di riscuotervi e consumarvi, come prescriveva la legge, i diritti d’autore che gli spettavano per la traduzione di Voyage au bout de la nuit, curata da Louis Aragon ed Elsa Triolet. Del resto, all’epoca è piuttosto di moda tutto quanto fa sovietico, e non sono pochi gli intellettuali francesi che varcano i Carpazi: Malraux, il già citato Aragon, Rolland, Barbusse, Nizan, Herbert, Gide. Dopotutto, questa febbre della steppa rientra nel generale orientamento politico francese: il 2 maggio 1935 la Francia, preoccupata per il riarmo tedesco, aveva concluso un – rovinoso – trattato di alleanza con l’URSS; e non si dimentichi che il 25 luglio dello stesso anno si era aperto a Mosca il VII congresso dell’internazionale comunista che, in considerazione della crescente espansione del fascismo in tutta Europa, aveva stabilito di adottare la tattica dei “fronti popolari”.
Céline parte in fretta: ma torna ancora più in fretta, deluso e irritato, abbandonato anticipatamente il paradiso socialista con un rientro confuso e rapido come una fuga. Di getto, scrive Mea Culpa, saggio, libello, denuncia: in tutto, poche pagine mozzafiato.
Si sa che in Céline affiorano di continuo pretesti che rimandano inesorabilmente a un tema unico e devastante: l’orrore della decadenza. E leggendo Mea Culpa non si può non notarlo: il linguaggio disarticolato, le frasi lacerate, il tono febbrile, la punteggiatura stravolta sono la misura del disgustato giudizio che Céline ha dato della società contemporanea, sua e nostra.
Questa improvvisa e inaspettata impennata antimarxista non mancò di suscitare un certo scalpore: in realtà anche qui il motivo ispiratore di base, dopo l’angosciosa constatazione della somiglianza tra Est e Ovest, rimane ancora e sempre la ripulsa netta e violenta per la globale decadenza del genere umano, frutto discutibile del materialismo, e la condanna spietata della civiltà odierna, in fondo, ma neanche troppo, uguale in USA come in URSS.
Ma Céline, perfettamente conscio della sorte – prevista – che gli sarebbe toccata, continuò imperturbabile la sua personalissima protesta: l’epigrafe a Mea culpa “C’è ancora qualche motivo di odio che mi manca. Sono sicuro che esiste” lo condurrà logicamente e freddamente, nel 1937, alla stesura di Bagatelles pour un massacre. A causa dei due libelli antisemiti (imperdonabile anticonformismo!) Céline è costretto ad abbandonare l’ambulatorio di Clichy. Un anno dopo, nel novembre 1938, esce L’école des cadavres, terzo pamphlet antisemita che, il 21 giugno 1939, costa al suo autore una condanna per diffamazione: la vendita del libro è proibita. Un paio di mesi dopo, la Francia entra in guerra.
Nel 1941, Céline pubblica Les beaux draps (La bella rogna), per rimproverare ai Francesi la sconfitta recentemente subita: emerge, prepotente, l’idea ossessiva della decadenza della patria. Concitato e insultante, pervaso di amore-odio nazionalistico, dedicato con rabbia a una patria imbelle e corrotta, Les beaux draps è una requisitoria nervosa e fremente, una sfuriata irrefrenabile contro i responsabili politici e militari del disastro chiamato Francia, contro il Cristianesimo, contro il proletariato, contro gli ebrei. È innegabile che a Les beaux draps manca il mordente degli altri pamphlets céliniani: vi si avverte il subentrare di una stanchezza non solo letteraria, come se l’autore si rendesse conto dell’inanità delle sue esortazioni e, ciononostante, proseguisse caparbiamente e vanamente sulla strada intrapresa.
In ogni caso, l’emarginazione di Céline su può considerare ormai compiuta: del resto, lui stesso l’aveva profetizzata. La verità nuda scandalizza i moralisti e i benpensanti, la borghesia e la classe media; questo Céline lo sapeva bene, e da tempo, quando già in Mea culpa scriveva: “Mai, dai tempi della Bibbia, s’era abbattuto su di noi flagello più subdolo, più osceno, più degradante per dirla tutta, del vischioso dominio borghese”.

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Con un ringraziamento a Marco Tarchi e Antonio C.

lunedì 10 agosto 2009

Il misterioso viaggio compiuto dal manoscritto del Voyage



La prima pagina del manoscritto. Di grande rilievo notare come il celeberrimo incipit «Ça a débuté comme ça» era diverso nella prima stesura e come (v. seconda riga) Bardamu era un semplice personaggio del romanzo e non il protagonista narratore.



L'atto di vendita del manoscritto del Voyage firmato Destouches, del 29 maggio 1943.

IL MISTERIOSO VIAGGIO COMPIUTO DAL MANOSCRITTO DEL VOYAGE
di Gilberto Tura

Come la trama di un romanzo d'avventura creato dalla mente di uno dei migliori scrittori di genere, è finalmente possibile ricostruire l'avventuroso viaggio, durato quasi sessant'anni, compiuto, nell'anonimato e nella segretezza più assoluti, dal mitico manoscritto del Votage au bout de la nuit: una pila di carta costituita da ben 876 fogli completamente vergati dalla mano di Céline. La sua apparizione è da considerarsi tanto più clamorosa, oltre che per il suo inestimabile valore artistico-letterario, quanto perchè il manoscritto era stato da tempo considerato perduto per sempre, tanto che solo i più ottimisti potevano ancora cullare qualche speranza di ritrovarlo.
Quello del Voyage è il manoscritto letterario più caro del Novecento venduto a 1,82 milioni di euro, oltre tre miliardi e mezzo di lire. Supera il manoscritto del Processo di Kafka venduto nel 1988 per tre miliardi di lire, e il primo volume della Recherche venduto nel 2005 per 2,1 miliardi di lire.

RIVELAZIONI SU UN MANOSCRITTO

IL DESTINO MOLTO ROMANZESCO DEGLI 876 FOGLI DEL VOYAGE AU BOUT DE LA NUIT

IL RACCONTO.

DI JÉROME DUPUIS

L'avevamo ormai dato per disperso tra le rovine fumanti della guerra. Quando ecco che sessanta anni più tardi, in un bel giorno di maggio del 2001, è ricomparso nel corso di una vendita all'asta a Drouot! Il mitico manoscritto del Voyage au bout de la nuit ! Una montagna di 876 fogli anneriti, pieni di cancellature e limature eseguite dalle mani di Louis-Ferdinand Céline! Il 15 maggio 2001, quando la banditrice, signora Picard, annuncia il lotto n° 29, l'emozione è palpabile nella sala di Drouot-Montaigne. Due misteriosi collezionisti fanno salire le offerte fino a 12 milioni di franchi (poco meno di due milioni di euro). Record mondiale per un manoscritto letterario. Ma nel momento in cui il martello sta per abbattersi, una vocina si alza :«Prelazione della Bibliotheque Nationale.» La BNF è riuscita a raccogliere questa somma colossale grazie al mecenatismo di Nahed Ojjeh, sposa siriana del più grande mercante d'armi del pianeta. Il pacifista Louis-Ferdinand Céline si sarà rivoltato nella tomba...
Nonostante l'epilogo felice, l'enigma restava totale: dove è stato, durante sessanta anni, il prezioso manoscritto - di cui anche gli editori di Céline della Pleiade ne ignoravano l'esistenza? L'esperto della vendita a Drouot, Pierre Berès - ricordatevi bene questo nome - accennò a un «collezionista inglese anonimo». Una pista che assomigliava a una cortina di fumo. Grazie a dei nuovi documenti, Lire è in grado, oggi, di sollevare il velo sul misterioso percorso del manoscritto del Voyage au bout de la nuit. Per questa ragione, bisogna tornare indietro al 1943. Dopo l'immenso successo del suo romanzo, pubblicato nel 1932, Céline aveva abbandonato il suo voluminoso manoscritto nell'angolo di un armadio, nel suo appartamento di Rue Girardon, a Montmartre. Presagendo che la fine della guerra gli avrebbe procurato dei guai molto seri e che gli sarebbero serviti dei soldi per finanziare una eventuale fuga, lo scrittore pensa di vendere questo enorme fascio di fogli.
É qui che entra in scena Etienne Bignou, celebre mercante d'arte della Rue Boétie - la sua galleria ha visto sfilare Les baigneuses di Cézanne e Le pont d'Argenteuil di Monet...Ambroise Vollard ne ha tracciato un ritratto penetrante nei suoi Souvenirs : «Il mattino è a Londra, la sera inaugura una mostra a Parigi: l'indomani prende l'aereo per New-York.» É quest'uomo, sempre molto occupato, che acquisterà il manoscritto del Voyage au bout de la nuit. La trattativa si svolge il 25 maggio 1943. Un documento dattiloscritto firmato da Céline, ufficializza l'evento. Apprendiamo il prezzo pagato da Bignou per il manoscrfitto: un assegno di 10.000 franchi (l'equivalente di soli 3.000 euro del 2008) della BNCI Paris, al quale viene aggiunto un piccolo quadro di Renoir, Busto di ragazza.
Da quel momento inizia il mistero. Alla liberazione, Bignou non ha interesse ad urlare ai quattro venti che possiede un manoscritto dell'autore maledetto di Bagattelle per un massacro. Il gallerista muore molto discretamente nel 1950. I suoi eredi hanno sempre sostenuto di non aver ricevuto gli 876 fogli tra le cose che aveva lasciato. Gli anni passano, céliniani e universitari se ne fanno una ragione: il manoscritto è sparito per sempre nel caos del dopoguerra.
In realtà, gli eredi di Etienne Bignou non hanno detto la verità. Per desiderio di discrezione? Per evitare di pagare dei diritti di successione all'amministrazione fiscale? Resta il fatto che hanno ben conservato il manoscritto. Nel 1974, nel massimo segreto, decidono di venderlo. La trattativa si svolge il 17 maggio di quell'anno. Una lettera di Michel Bignou, figlio del gallerista, lo attesta. Ecco cosa possiamo leggervi: «Caro Signore, accuso ricevuta del pagamento integrale del manoscritto di Céline, Voyage au bout de la nuit, venduto da me e che era di mia proprietà, dopo essere appartenuto a Etienne Bignou. Parigi, il 17 maggio 1974, Michel Bignou.» Quel giorno il mitico fascio di fogli passa di mano.


UN COLLEZIONISTA MISTERIOSO

Resta una domanda cruciale: qual'è l'identità del «Caro Signore» evocato da Michel Bignou all'inizio della lettera? Apparentemente, un uomo prudente e discreto, che ha chiesto che il suo nome non apparisse sull'atto di vendita. Ma un piccolo accadimento, che si svolge un anno più tardi, il 6 giugno 1975, rivela una pista: quel giorno, a Drouot, viene smenbrato il resto della collezione di Etienne Bignou - corrispondenza di Dufy, Verlaine illustrato da Bonnard, Balzac messo in risalto dai disegni di Picasso... Un nome attira l'attenzione, in fondo al catalogo di vendita. «Esperto: Pierre Berès.» Guarda un pò, lo stesso uomo che nel 2001 organizzerà la vendita del Voyage au bout de la nuit... Era lui, quindi, il «Caro signore»?
Ecco, in realtà, come sono andate le cose: Berès organizza la vendita pubblica della eredità Bignou, nel 1975, ma acquista per se il famoso manoscritto. Poi lo lascia invecchiare come del buon vino nelle riserve della sua libreria. É la sua grande specialità. Nel 2006, ha venduto all'asta poemi manoscritti di Rimbaud che aveva acquistato nel 1936! Durante la sua lunga carriera, questo uomo raffinato, nato nel 1913, ha moltipiclato i colpi formidabili: ritrova un almanacco annotato da Montaigne, vende Les fleurs du mal dedicato da Baudelaire a Delacroix e obbliga la Bibliotheque nationale a dissanguarsi - già... - per acquistare il manoscritto delle Memorie d'oltretomba... (di Chateaubriand, n.d.t.). Prima di riporre il manoscritto del Voyage sul fondo di un forziere nascosto dietro una biblioteca girevole alla James Bond, all'interno della sua libreria di Avenue de Friedland, l'esperto libraio si prende cura di fare un inventario preciso con l'inchiostro blu - una « collation » come dicono i bibliofili. In mezzo a questa massa, identifica due «piccoli quaderni supplementari» : «un dattiloscritto di tredici fogli, l'episodio a New-York» e « l'altro, undici fogli, che, sembra, non essere stato utilizzato nel libro». In breve, niente meno che un capitolo inedito.
Evidentemente, nessuno sa, che Pierre Berès possiede il manoscritto. Ma l'orgoglioso libraio, negli anni, seminerà degli indizi molto cifrati. Nel 1984, nel catalogo n° 75 della sua libreria, propone un esemplare di Guignol's band così dedicato da Céline : « A Etienne Bignou, grande amico degli artisti e dei manoscritti. Tra terroristi, suo fedele amico, L.F. Céline»...Il 14 giugno 1999, è l'esperto di una vendita a Drouot ove fanno la loro apparizione, per miracolo, i manoscritti di due capitoli, dei quali uno inedito, del Voyage ( e che verranno venduti a 10.000 e 19.000 euro). Sono chiaramente i due «quaderni» che aveva scoperto durante la sua «collation»...
Dopo questo preesame Pierre Berès decide che è giunto il tempo di realizzare un colpo grosso: vendere all'asta il manoscritto completo del Voyage. Michel Bignou è morto e mai la quotazione di Céline è sembrata così alta. A questo piunto resta un problema: come spiegare la riapparizione improvvisa del manoscritto? Berès, che sarà l'esperto della vendita, non ha il diritto, per motivi deontologici, di proporre degli oggetti di sua proprietà. Viene inventata dunque, la favola del «collezionista inglese anonimo». E quando chiediamo a Berès come il manoscritto sia arrivato fino a lui, risponde, laconico: «Dalla porta della mia libreria.» Non sapremo dunque mai a quanto aveva acquistato il Voyage nel 1974. - probabilmente una cifra irrisoria, in rapporto ai 12 milioni di franchi. Non sapremo mai, del resto, neppure che fine ha fatto il famoso piccolo Renoir acquisito da Céline nel 1943.
Ma conosciamo il seguito. La vendita del maggio 2001. Il record mondiale. La prelazione della BNF. Oggi, gli 876 fogli sono stati mirabilmente rilegati in due volumi, che riposano in Rue de Richelieu, proprio di fronte a Square Louvois dove Céline giocava da bambino. Il manoscritto ha senza dubbio definitivamente terminato il suo viaggio

(Traduzione di Gilberto Tura)

Tratto da "LIRE, HORSE SERIE" N° 7 - 2008
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Ringraziamo Gilberto per questo post sul capolavoro di Céline e salutiamo i nostri due nuovi sostenitori!

lunedì 3 agosto 2009

Bukowski, quello scrittore pazzo che correva da solo e arrivò secondo solo a Céline



Siamo felici di pubblicare il primo (e interessante!) post del nostro amico Daniz, che ringraziamo!

QUELLO SCRITTORE PAZZO CHE CORREVA DA SOLO E ARRIVO' SECONDO SOLO A CELINE

Bukowski fu un céliniano doc e a farcelo sapere non sono solo i critici, i biografi, le interviste in cui la moglie Linda ci informa dell'ossessione per lo scrittore francese specie negli ultimi anni della sua vita, delle foto del nostro incollate sulle pareti della stanza in cui scriveva solitamente, ma è Bukowski stesso che in numerosissime occasioni, nei suoi testi, parla del beneamato scrittore d'oltralpe. Un esempio come quello che sto per proporre apparirà certamente gradito ai céliniani più arditi ma stupirà i bukowskiani di primo pelo abituati a leggere le imprecazioni di Buk davanti a qualsiasi scrittore che non sia lui, a deprecare le opere altrui e bollarle come illeggibili e noiose e vuote, ecco, se Bukowski era duro e severo nei confronti degli altri autori non era per vanità o per saccenteria ma per una vera e propria poetica cui Celine non sembra solo aderire, certo inconsapevolmente, ma addirittura primeggiare senza pari: questa poesia si intitola LA PAROLA (THE WORD), Bukowski vi parla dei suoi autori prediletti; dopo aver accennato a Pound, Hemingway, Auden, Turgenev ed altri e aver stroncato il noioso Henry Miller, così dice di Céline:

"mi procurai il 'Viaggio' di Céline e lo lessi d'un fiato sdraiato sul letto a mangiare crackers, andai avanti mangiando crackers e leggendo, leggendo, ridendo ad alta voce, pensando: finalmente ho incontrato uno che scrive meglio di me. finii il libro e mi scolai litri d'acqua. dentro la pancia i crackers mi si gonfiaronoe mi venne il peggiore mal di stomaco del cazzo di tutta la mia vita. vivevo con la mia prima moglie, lei lavorava nell'ufficio dello sceriffo di Los Angeles e rientrando a casa mi ritrovò piegato in due che gemevo:- ehi, che ti è successo? -Ho appena letto il più grande scrittore del mondo! -ma non dicevi di essere tu il più grande? -Sono il secondo, baby..."

un'affermazione forte, detta da uno scrittore (appartenente a una razza che dei pavoni pare la diretta discendente) non sembra da poco. e non è finita qui: in una poesia intitolata, guarda un po', VIAGGIO AL TERMINE (JOURNEY TO THE END), le cose stanno così:

"c'è un tale in Olanda che mi spedisce fotografie di Céline e scatole di sigari fantastici. bè, lo ammetto: me li godo entrambi. i sigari s'accoppiano bene col mio vino rosso e non mi stanco mai di Céline, letto o visto in foto: ha una gran bella faccia questo Louis Ferdinand Destouches. (ci sono certi famosi scrittori contemporanei le cui facce sembrano l'interno della padella e a scrivere fanno lo stesso effetto) mi piacciono le mie notti con le foto di Céline (...)

Céline mi sorveglia mentre bevo scrivo ascolto musica e fumo sigari insieme ce la spassiamo mentre il resto della gente gioca a bowling, dorme, guarda la tv, discute scopa, mangia, fa un mucchio di stupidaggini e via dicendo. (....)

ti saluto Céline... Céline... figlio di un cane... noi sopportiamo il peso del tempo... ma ne ridiamo... qualche volta qui in mezzo alle tue foto persino la più bieca fortuna ha qualcosa di buono"

Ce n'è un'altra in cui Bukowski parla del volto di Céline e in particolare c'è un commento ad una foto, quella famosa in cui Céline è fotografato di spalle, con la testa leggermente girata, rivolta verso la macchina fotografica e dalla grossa testa ricade una ciocca di capelli, una mano regge un cesto; è una foto degli anni di Meudon, è la foto di sovraccoperta dell'edizione Einaudi di Fantasmagoria per un'altra volta.

In un'altra poesia ancora, questa intitolata "FREGATI", Bukowski si chiede se non sia stato il liquore andato a male a far finire Céline a letto con ''quella puttana della politica" (anche se qui Buk si chiede lo stesso anche per Sartre, Hamsun ed Ezra Puond). Céline però era astemio.

Nel resoconto del suo viaggio in Europa del 1978, dal titolo Shakespeare non l'ha mai fatto, ad un giornalista rompipalle italiano che gli chiedeva quali consigli avesse da dare agli italiani, Buk risponde :

''Consiglio agli italiani di leggere Céline e di non parlare sempre ad alta voce!"

Ulteriori e disposti qua e là alla macchia sono gli apprezzamenti che Bukowski elargisce al nostro, ma anche delle riserve sul lavoro posteriore al Viaggio, specie in un racconto inserito in Musica per organi caldi, dove per l'appunto lo scrittore americano s'inchina davanti alla prima prova letteraria del medico dei poveri ma non è troppo convinto del prosieguo della sua produzione. Per un iper-realista come Bukowski doveva certamente risultare su tutti straordinario quel libro demistificatorio della vita e dell'uomo ed ironico e cinico quale è il Viaggio e poco reattivi alla realtà gli altri dove la vis fantastica di Céline vira per altri porti, caricando sempre più il suo stile e il suo bagaglio di fantasmi dentro vagoni di incubo che poco avevano a che fare con le riflessioni e le situazioni concrete evocate precedentemente. Eppure Bukowski, seppur refrattario nei confronti delle nuove mire céliniane, non può fare a meno di ammirarne lo stile, la bravura, il mordente rimasto intatto: così in una poesia dal titolo "ORDINE DI BATTUTA" (BATTING ORDER) immaginando di essere un allenatore di baseball e di dover assegnare un ruolo in squadra ai suoi scrittori preferiti...:

"Céline lo metto in quarta, ha alti e bassi ma quando è in giornata non lo batte nessuno"

Il clou è raggiunto però in Pulp. Una storia del XX secolo. In questo romanzo dei primi anni novanta, ultima opera di Bukowski pubblicata in vita, un investigatore privato di Los Angeles, Nick Belane, è ingaggiato dalla signora Morte per trovare Céline che per qualche oscuro mistero (ma nemmeno troppo se si pensa che per Bukowski l'unico modo per fregare la morte è riderne) ha depistato la sua falce e ora, avvistato ad Hollywood Park, pare frequenti la libreria di un certo Red Koldowsky che ha solo libri rari ed è un tipo bizzarro il quale ama cacciare la gente dal suo locale specie se questi non comprano nulla come il caro Ferdinand continuamente messo alla parta. Céline chiede di Faulkner, Charles Manson, Carson Mc Cullers, poi pesto di insulti si dirige da Musso's e se ne sta lì con la faccia triste, ma dopo un giorno si ripresenta e la storia si ripete. La signora Morte, tra l’altro una donnona mozzafiato, è disposta a pagare qualsiasi cifra per sapere con certezza se il presunto Céline è davvero Céline o un ciarlatano o… chissà che…Nel primo incontro Nick lo pesca a scartabellare un libro di Thomas Mann e rivolgendosi proprio a lui dice: ''questo scrittore pensa che la NOIA sia arte'' ; pressato dalle domande di Nick sulla sua identità per via dell'effettiva somiglianza, Céline lo pianta in asso mostrandogli il medio. Le vicende da allora si evolvono, la signora Morte è sempre più decisa a fare il suo, Céline intanto è in possesso di informazioni per ricattare Belane a cui chiede 10000 dollari, Belane non ci sta, tira fuori la pistola, lo tiene in ostaggio nel suo gabinetto ma questi sfonda la porta e scappa. In un altro incontro, all'ippodromo, è Céline a puntare la pistola contro Belane, deciso com'è a sbarazzarsi lui della signora Morte che ha capito essergli alle costole. Belane allora organizza un'uscita a tre: lui, Céline, la signora Morte, tutti allegramente in un bar, per risolvere gli inconvenienti. Grazie ad un giochetto, Belane ottiene di vedere la ''patente'' di Céline, con qualche informazione preziosa scritta al suo interno: LOUIS FERDINAND DESTOUCHES, nato a Courbevoie, 1984! La signora Morte guarda pure lei, Céline esce dal locale contrariato dai loro giochetti infantiloidi e una donna lo investe con la macchina davanti al bar...Ovviamente questa microstoria céliniana è incasellata accanto e dentro ad altre storie di altro genere e argomento che vanno tutte a formare quel Polpettone, quel Pulp che è questo romanzo bukowskiano degli anni novanta dove il non-genere in questione andava per la maggiore. Probabilmente non si faticherà a trovare altro materiale inerente al nostro tra le scartoffie o i muri di casa Bukowski, così come non si avranno troppe difficoltà a rintracciare nello stile dello scrittore maledetto americano dei ritmi, degli arpeggi, delle incrinature, delle frenature sull'asfalto, delle impennate immaginative tipiche del francese, e non si arrancherà nemmeno troppo a notare quanta vicinanza ci sia soprattutto nel concepire la vita, l'uomo, la schifezza, il cinismo, l'ironia, il comico, la solitudine e la follia in due scrittori eccezionali e geniali come L. F. Céline e Charles Bukowski.

Un saluto...



... ai nostri nuovi amici sostenitori e un augurio di buone vacanze estive a tutti!



Approposito, secondo il nostro Céline le "Vacanze!" sono "una vera e propria malattia ciclica, e con ricadute, che ha un decorso lungo tutto l’anno, con diversi periodi (incubazione, invasione, malattia, convalescenza), dalla durata di un trimestre" :-)

domenica 2 agosto 2009

Le interviste di Louis-Ferdinand Céline su POESIA



Le interviste di Louis-Ferdinand Céline su POESIA


di Gilberto Tura



Come ben sanno i céliniani più attenti, negli ultimi anni son diventate disponibili in video, dopo essere apparse su carta, le ormai celeberrime interviste di Céline, rilasciate negli ultimi anni di vita. Sulla rivista mensile di cultura poetica POESIA, nel numero di gennaio 1989, apparve una raccolta di estratti di interviste e dichiarazioni di Céline, tratte da "CAHIERS CÉLINE 1, Cèline et l'actualité littéraire 1932-1957" e da "CAHIERS CÉLINE 2 , Céline et l'actualité littéraire 1957-1961, entrambi editi da Gallimard nel 1976.
A (ri)leggerle si rimane (ancora) colpiti dalla lucida facoltà di analisi e preveggenza di Céline come quando denuncia il pericolo rappresentato dalla televisione, equiparata alla piaga sociale dell'alcolismo, allora appena nata e infinitamente meno invasiva e mercificata rispetto a quella dei nostri giorni. Oppure quando afferma che la vera ispiratrice è la morte, "Se non mettete la vostra pelle sul tavolo, è pura tiritera", perchè bisogna averla vissuta la vita, fino in fondo e pagato dazio: allora si che l'ispirazione sorregge la penna. In un'altra intervista, che non compare in questa raccolta, affermerà: "L'unica storia che conti, è quella per cui si è pagato". O quando con brutale severità dichiara di salvare del Viaggio al termine della notte meno di dieci pagine! E noi che continuiamo ad emozionarci e commuoverci tutto d'un fiato dalla prima all'ultima pagina. Quale mezza calzetta d'oggi riuscirebbe a controllare il proprio misero ego e potrebbe permettersi una dichiarazione di umiltà così estrema?

A LEZIONE DA CÉLINE

Credo d'aver fatto di tutto, inconsciamente certo, ma di tutto, per non diventare un mandarino della letteratura; l'ho per così dire cercato. E per confessare tutto, se mi son messo contro tanta gente, l'ostilità del mondo intero, non sono affatto sicuro di non averlo fatto volontariamente. Proprio per non essere popolare, per non dovere essere adulato da questo o quello e diventare importante, che è una cosa vergognosa, no? Dunque ho cercato per così dire la modestia, e addirittura la riprovazione generale. Non posso dire di averla cercata in assoluto, ma insomma, si è fatta trovare. Se avessi voluto evitarla, era semplicissimo evitarla, bastava che tacessi. Non ho taciuto nel '37 o nel '38. Se non avessi fatto che tacere, mi avrebbero lasciato tranquillo. Mi sono messo in una storia abbastanza orribile e questo mi è valso un distacco e un'ostilità totale, in cui, oh Dio, sono un mandarino, se volete, dell'obbrobrio, visto che adesso ci sono dei tipi che erano considerati collaboratori che mi rimproverano a tutto spiano e che riprendono le stesse calunnie dei partigiani di De Gaulle o del signor...di un resistente qualsiasi.

Sono una schifezza per tutti, sono il repropbo, il lebbroso della situazione. Mi accusano di aver venduto tutto al nemico, persino i piani della linea Maginot.

Sono isolato, diciamo così. Isolato vuol dire essere più di fronte alla cosa. Mi piace molto l'oggetto. Non lo si apprezza molto ai nostri tempi. Ci si occupa molto più della personalità che dell'oggetto. Si è personalisti allo stesso modo che si è verbalisti. Non è il mio caso. Sono, ecco, un lavoratore della cosa in sé. Non lo si apprezza ai nostri giorni, e probabilmente non lo si apprezzerrà mai, a meno che non venga una rivoluzione antimaterialistica un momento o l'altro, nei secoli dei secoli. Ma per il momento è chiaro che siamo nell'epoca della pubblicità e della meccanica. E così...il robot geniale...l'autore di successo...

Io, essendo poverissimo, ho preso l'abitudine del lavoro, di un lavoro enorme, perché ho preso la licenza liceale venendo dalla scuola pubblica...Ma se fossi nato ricco, avrei fatto come gli altri, me la sarei spassata ben bene! Avrei imparato a comportarmi, avrei imparato per tempo quello che bisogna fare e non dire, le cose bene e le cose male...

Vedo soprattutto della gente che beve, che mangia, che fa tutte le...che si occupa di tutte le funzioni umane, tutta roba abbastanza volgare, e io direi che questa gente è pesante. E il loro intelletto è pesante, ecco quel che mi mi sembra soprattutto. Non ha mai smesso di essere pesante. Ho notato - ho letto tanti di quei versi, specialmente versi del Seicento, versi sedicenti galanti. Ne ho trovati tre o quattro di buoni su delle migliaia. C'è pochissima leggerezza nell'uomo. É pesante. E adesso, poi, è di una pesantezza straordinaria. Da quando...l'automobile, l'alcol, l'ambizione, la politica lo rendono pesante, sempre più pesante. É questo che lo fa così pesante. Forse un giorno vedremo la rivolta dell'intelligenza contro il...contro il porco. Ma non sarà domani. Per il momento si è pesanti. Le mie ultime parole sarebbero, sono: era pesante. Tutto qui. Si, erano cattivi ecc. perché erano pesanti. E allora erano gelosi di una certa leggerezza. Sono gelosi come una donna che porta il busto per quella che non lo porta...con tanto di pizzo...come quello che ha un cavallo da tiro per chi ha un purosangue. Gelosi d'essere pesanti, ecco, tutto qui. Infermi. Pesano, sono infermi, ecco. La pesantezza li rende infermi, e così bisogna diffidare di loro. Sono pronti a tutto. Ah, si pronti a tutto. Sono pronti a uccidere. E per essere ancora più pesanti, bevono. Quando hanno bevuto, sono come dei magli. Spaventoso. Magli senza controllo. Ecco cosa sono, soprattutto. Attivano, incrementano il loro porco invece di renderlo leggero. Ah! non vanno certo dalla parte di Ariel, sono sempre più Calibano, sempre di più...

Si occupano di faccende grossolanamente alimentari o aperitive; bevono, fumano, mangiano in modo tale da uscir fuori della vita - per lavita. Digeriscono. Digerire è un atto molto complicato (ne conosco il meccanismo) che li assorbe totalmente: cervello, corpo...Non sono più niente, non sono più che grasso di maiale. Sedetevi in un caffè, guardate la gente: sin dalla prima occhiata vedrete tutte le specie di distrofie, di volgari invalidità. Sono orribili, fanno pena! Del resto, sono brutti in tutti i paesi (perché ne ho frequentati, io, di paesi: sono stato in missione per la sezione igiene della Società delle Nazioni in tutto il mondo). Li vedo, ecco, tremendamenti assorbiti dalle funzioni bassamente digestive. É l'istinto di conservazione (ce ne sono due di istinti nell'uomo: la conservazione e la riproduzione...). Mangiano dieci volte tanto, bevono dieci volte di più di quanto occorrerebbe: non sono più che degli apparati digestivi. Farete una gran fatica a ritrovare un essere in fondo a quella bouillabaisse alcolica e fumosa...per niente interessante. Si ha a che fare con dei mostri.

La TV è pericolosa per gli uomini. L'alcolismo, la chiacchiera e la politica ne fanno già dei bruti. Era proprio necessario aggiungerci qualcos'altro? Ma bisogna pur ammetterlo. Non si reagisce contro il progresso. Vi verrebbe mai in mente di cercare di risalire le cascate del Niagara a nuoto? No. Nessuno potrà impedire la marcia in avanti della TV. Presto cambierà tutti i modo di ragionare. É uno strumento ideale per la massa. Sostituisce tutto, elimina lo sforzo, assicura una gran tranquillità ai genitori. I bambini si appassionano a questo fenomeno. C'è un dramma oggi: si pensa senza sforzo. Il latino lo si sapeva molto meglio quando non c'erano grammatiche latine. Se semplificate lo sforzo, il cervello lavora meno. É un muscolo il cervello: si inflaccidisce.

Voltaire diceva: "Chi legge senza la matita in mano, dorme". Alla TV è ben peggio.

La TV, tutta quella roba, sono dei mezzi talmente inferiori per abbruttire...Il quotidiano, il mensile, tutto quanto...Talmente massiccio che neanche le teste più solide ce la faranno a resistere...Saranno abbruttiti fin dall'infanzia...E via di peggio in peggio, l'alcol, l'automobile, la televisione, il quotidiano, il settimanale...

Come dice La Rochefoucauld: "Non si sentono nascere, soffrono per morire e aspettano di vivere, ma non vivono mai veramente...Si sentono morire e soffrono la maggior parte del tempo (99%). Aspettano la pensione, aspettano la promozione, aspettano di passare l'esame di maturità, aspettano sempre qualcosa. Aspettano l'essere amato, poi hanno qualche mese di delirio, qualche crisi di coito, e poi tornano nella vita dei tanti obblighi. Trovo che siano terribilmente infelici, più infelici ancora quando si occupano degli altri, pur essendo in sé molto egoisti. Non è piacevole la loro sorte!.

Eccoci con venti secoli di alta civiltà alle spalle eppure nessun regime resisterebbe a due mesi di verità. Voglio dire la società marxista proprio come le nostre società borghesi e fasciste.

Bene, torno al mio grande attacco contro il Verbo. Nelle Scritture, sapete, sta scritto: "Al principio era il Verbo". No! Al principio era l'emozione. Il Verbo è venuto dopo per sostituire l'emozione, come il trotto sostituisce il galoppo, mentre la legge naturale del cavallo è il galoppo, lo si fa andare al trotto. Si è fatto uscire l'uomo dalla poesia emotiva per farlo entrare nella dialettica, cioè nel farfugliamento, non è vero? o nelle idee. Le idee, non c'é niente di più volgare. Le enciclopedie sono piene di idee, ce n'è quaranta volumi, enormi, pieni di idee. Buonissime, per carità. Eccellenti. Che hanno fatto il loro tempo. Ma non è questo il punto. Non sono affar mio le idee, i messaggi. Non sono un uomo da messaggi, non sono un uomo da idee. Sono un uomo da stile. Lo stile, diamine, tutti ci si fermano davanti, nessuno ci arriva. Perchè è un lavoro molto duro.

Mi si parla sempre della questione ebrea...Ma in fondo è un pretesto...Credo che se ne sbattano completamente! Hanno una tale forza...Non vedo perchè dovrebbero preoccuparsi...non gli ho fatto nessun torto, anzi...Ma la questione dello stile, per quello non c'è perdono...non c'è perdono...non c'è perdono..."io, io avrei dovuto... ero io che..." Ma non l'hanno fatto! Di colpo, un odio inestinguibile...É un peccato senza nome, questo...Per me, è l'emozione del linguaggio parlato attraverso lo scritto...Beh, si capisce che gli altri schiamazzino...Ve lo immagginate Mauriac inventare quella roba! "Ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta..." Allora le donne "Oh! Ha una dizione, è stupeeendo..." É merda, ecco, nient'altro che merda...Oppure Billy "ooh! com'è bello... Oh! com'è forte!..." Mentre evidentemente é un allenamento sistematico...e meravigliosamente rompicoglioni... Persino la frase-Proust è tremendamente insensibile, non ci succede niente dentro... Ma il linguaggio emotivo, di quello si fa benissimo a meno. Brunetière, che prendeva molto sul serio la critica, diceva: "Tutte le arti, se non c'è una critica vigile, attiva, militante, che se ne occupa, tutte le arti saranno divorate dal ciarlatanismo..." Adesso siamo in pieno ciarlatanismo... Vediamo dei romanzi che non stanno in piedi... Non ha senso! Ciarlatanismo! Pubblicità prima di tutto! E adesso la critica si è messa direttamente con i ciarlatani... E anche con molta applicazione...

C'è della gente che sa comportarsi, che è decorosa insomma... L'uomo a posto è quello che non dice niente... così non dicono niente... Ma lo dicono, quel niente, con una fraseologia! É talmente complicato! Allora si parla di buon senso... A me no, questa roba non interessa... Sono finito, sono vecchio, troppo vecchio... Mi interesso dei miei trucchetti per fare in modo che Gallimard non mi sbatta giù dalla barca, nient'altro... Ho reso infelici tutti quanti, mi son fatto sbatter fuori dappertutto... Ah sì! Avrei fatto meglio a starmene tranquillo! Quel che bisogna fare è andar dietro a chi sbraita.

Sono uno stilista, se si può dire, un maniaco dello stile, vale a dire che mi diverto a fare certe piccole cose. Si chiede tantissimo a un uomo, e lui non può mica granché. La grande illusione del mondo moderno è di chiedere all'uomo che sia ogni volta un Lavoisier o un Pasteur, che butti per aria tutto in un colpo solo. Non ce la fa! Se uno trova qualcosina di nuovo è già tanto, è già bell'e stanco! Gli basta per tutta la vita!.

Si, naturalmente... tutti gli argomenti sono possibili... salvo forse certi che in questo momento sono particolarmente delicati... Se no, tutto è possibile... Il mondo è grossolano, vero? e così non è difficile essere sottili... É questo che è piacevole, capite: il mondo è pesante, è facilissimo essere leggeri in un mondo dove tutto è pesante! Non si ha nessun merito. Sono tutti talmente stupidi! Mangiano, bevono... crepano dal mangiare e dal dire fesserie... Al confronto ci si sente subito intelliggentissimi... É facile, un gioco da bambini...

Oggi si scopre un Balzac alla settimana, e trenta George Sand. Balle! Non c'è nessuno! Il ciarlatanismo si mangerà il romanzo e la letteratura. Non sono io a dirlo; è Brunetière. Aveva ragione. C'è troppa pubblicità. Il Goncourt, è il peggior romanzo dell'anno. Presto si daranno ai romanzi d'appendice. I giovani scrittori sono pederasti e sentenziosi. Sono predicatori del sesso: "Sono un porco", dicono. Il fatto è che il loro stile non è divertente. É peggio di Paul Borget e Henry Bordeaux messi insieme. Ma per chi fa dello stile, non c'è pubblico! Non si smuovono certo le folle, con lo stile...

Voltaire osservava che... Voltaire faceva un'osservazione molto sensata e, secondo me, importante, molto importante in questo piccolo campo... Diceva: in una certa nazione, a una certa epoca, nascono tre, quattro, cinque illuminazioni di carattere... Per esmpio, lui contava Eschilo, Sofocle, Euripide, che trattano all'incirca le stesse tragedie, non è vero?... E poi, più niente...Oppure guardate il secolo di Elisabetta, Marlowe, Shakespeare, Ben Jonson e poi... niente! finito!...

Evidentemente, un poveraccio non può fare tutto il tempo delle prove di passione, no? Dopo un pò la passione è morta, ricasca, e lui ha voglia di dormire o d'andare a riposarsi, mi spiego? É un pò così che succede... Una specie di folata di creazione, che viene tutta in un colpo, così, e poi più niente... Dopo si ha un bel darsi da fare per riuscire a... a dire la parola... l'eiaculazione, niente! non ce la si fa più... Ecco... Il poveraccio si... si tormenta a più non posso, ma niente, niente, non ha più la potenza...

Non voglio offendere nessuno. Voltaire, lui, non conosceva che tre nomi: Eschilo, Sofocle, Euripide. Tre soltanto. Era modesto, lui. Oggi, niente più modestia. Sono tutti matti. Matti, alienati, alcolizzati. E i pensatori, pensano. La Sorbona ne è piena. Anche il Collège de France. Pensano, accidente; lanciano messaggi. É il loro mestiere.

Fanno della psicologia, lanciano dei messaggi, si chinano sul loro Io, super-Io... Delle vagues, anche, questo li fa impazzire, la nouvelle vague! La chiamano vague. Credono, perché vanno a letto con la serva, di essere una vague, e che ci sia qualcosa di nuovo sotto il sole.

No, no! Non bisogna parlare di sentimenti, bisogna parlare di lavoro, non c'è che questo che conta, e anche con molta discrezione. Se ne parla con troppa pubblicità. Siamo oggetti di pubblicità, manichini di pubblicità. É uno schifo. Sarebbe ora di fare una cura di modestia generale. In letteratura come in tutto il resto siamo impestati di pubblicità. É veramente ignobile. Lo scrittore non deve far altro che un lavoro, e poi tacere. É tutto. Il lettore lo guardi o non lo guardi, lo legga, non lo legga, riguarda solo lui, e basta. L'autore deve solo sparire.

I gaudenti non hanno bisogno di scrivere. Chiedetelo un pò a uno scrittore! Si scrive perchè si è infelici. Il vostro mondo divora tutto il resto. Siete soli. E sostenuti dallo stile.

Eh, mio Dio, devo confessarvi che non ne ho mica molta di gioia. Non sono un tipo gioioso, non sono un passeggero. Confesso che sarò contento quando morirò, ecco la verità. Desidero morire nel modo meno doloroso possibile, soprattutto non ho bisogno, non sono assetato di dolore.

Non sono uno che si gode la vita, io, mi annoia la vita! Vivo di niente, bevo acqua, non mangio quasi, dormo molto male, le mie vecchie ferite... Ah! Ci fossero ancora dei mecenati... Avrei avuto il mio stipendio... Avrei scritto delle odi... Un pò quello che hanno fatto quelli che sanno vivere... Quelli che fanno delle odi a... a chi sta là insomma! A tutti, uno dopo l'altro... Fanno delle odi e lasciano il nome in bianco... si riempie dopo...

Ma adesso le mie indignazioni sono platoniche. Adesso so che gli uomini non sono mossi né dalle idee né dalle eloquenze... Dipendono dalle tonnellate di propaganda che si abbattono su di loro e si appiccicano ai loro sentimenti...

Fin dai dieci anni il destino dell'uomo sembra più o meno fissato, almeno nelle sue spinte emotive; dopo non esistiamo più che per insipide ripetizioni, sempre meno sincere, sempre più teatrali.

... l'amore di cui abbiamo ancora il coraggio di parlare in questo inferno, come se si potessero comporre delle quartine in un mattatoio. L'amore impossibile oggi come oggi.

I morti? Ho macinato i loro libri, masticando la carogna classica, lavorando, con le mani prima, poi facendo la guerra per prendere il diploma, poi lavorando di nuovo per prendere la laurea.

Ci sono (nella mia biblioteca) libri di tutti i generi; ma se andate ad aprirli rimarrete molto stupiti. Sono tutti incompleti; certi non contengono più, dentro la rilegatura, che due o tre fogli. Sono dell'idea che bisogna fare comodamente le cose che si fanno tutti i giorni; così leggo con le forbici, chiedo scusa, e taglio via tutto quello che mi dà fastidio. In questo modo le mie letture non mi offendono mai. Dei Loups ho tenuto dieci pagine; un pò meno del Voyage au bout de la nuit. Di Corneille ho tenuto tutto Polyeucte e una parte del Cid. Del mio Racine non ho soppresso quasi niente. Di Baudelaire ho tenuto duecento versi e di Hugo un pò meno... (...) Di Proust il pranzo della duchessa di Guermantes, la Mattina di Parigi nella Prisonnière.

Se c'è una cosa che avvilisce l'uomo e lo castra, è la lode! Ma io quanto a questo sono tranquillissimo, sono a mio agio, non è a me che metteranno corone, non abbiate paura!.

Il grande ispiratore è la morte! Se non mettete la vostra pelle sul tavolo, è pura tiritera... Bisogna rischiare qualcosa... Non raccontare quello che ha fatto un altro... Bisogna pagare di tasca propria... Bisogna cacciarsi dentro delle storie. Bisogna rischiare... Allora sì che si è ispirati, per forza, perché è l'istinto di conservazione ad ispirarci... Mentre la storia raccontata, sapete... Sapere se il nonno se la prende per il nipotino, se Joséphine adora Jézabel, se se la spassano, se si sono sbronzati, se hanno speso dieci miliardi in una notte, è una rottura di coglioni...

Mi piacciono molto i poeti. É roba bella, almeno roba fine! Non è per la gente. Oggi la gente è pesante, abbruttita. Non fanno altro che bere. Dei mucchi di budella, sì, di budella!!! La trippa fa andare il mondo...