giovedì 30 aprile 2009

3 maggio 2009 a RIETI - O Bù Osteria del Canale



3 maggio 2009 a RIETI - O Bù Osteria del Canale

O bu ! Osteria del Canale
da “Il viaggio al termine della notte” di L.-F. Céline
di e con Alessandro Cavoli

Domenica 3 maggio 2009
alle 21.00
Palazzo Marcotulli, Via Garibaldi, 241 - RIETI

Info: Teatro Rigodon

sabato 25 aprile 2009

Louis-Ferdinand Céline in foto





Fresco di stampa:

Louis-Ferdinand Céline in foto
Immagini, ricordi, interviste e saggi

A cura di Andrea Lombardi
Louis-Ferdinand Céline nelle parole di chi lo ha conosciuto (interviste, ricordi e saggi, per la maggior parte inediti in Italia, di Lucette Almansor, Arletty, Michel Aimé, Abel Bonnard, Arno Breker, Lucien Rebatet, Gen Paul, Ernst Jünger), nelle interviste alla televisione e alla radio francese, nella critica italiana, con interventi di Marina Alberghini Pacini, Paolo Badellino, Alberto Arbasino, Gabriele Armandi, Giovanni Raboni, Carlo Bo, Alberto Rosselli, Antonio Moresco, Alessandro Piperno, e attraverso una galleria di immagini: dall'infanzia di Céline alla prima guerra mondiale, da medico a romanziere di successo, le donne di Céline, la Parigi dell'Occupazione, la fuga in Danimarca, e gli ultimi anni a Meudon.
F.to 14x21, brossura, 218 pag., 85 foto in b/n, Euro 24,00.

Effepi Edizioni, Genova 2009.

Potete richiederlo direttamente a:

Effepi Edizioni

Telefono
(0039) 010 6423334 - 338 9195220
Indirizzo postale
Via B. Piovera 7 - 16149 Genova
Posta elettronica
effepiedizioni@hotmail.com

Disponibile anche presso:


Il mio ringraziamento a Gilberto Tura, Marina Alberghini Pacini e Marc Laudelout per il loro contributo alla stesura del libro e per la loro amicizia.

venerdì 24 aprile 2009

Il nostro Blog segnalato su Booksblog.it!



Una bella segnalazione del nostro Blog su Booksblog.it (che ringraziamo per la stima!)...

E’ con grande piacere che vi segnalo l’esistenza di un blog, il primo in italia dedicato interamente all’opera di Louis Ferdinand Celine, uno dei più grandi scrittori del novecento (di cui è appena uscita un’immensa biografia a cura di Marina Alberghini , curato da Andrea Lombardi e Gilberto Tura.

Il blog, online da quasi due anni, è molto ben fatto, frequentemente aggiornato e, soprattutto, ricco di materiale, schede bibliografiche sul medico francese, segnalazioni, recensioni, estratti, news, insomma tutto ciò che circonda il mondo e le opere di questo grande scrittore, troppo spesso stigmatizzato per i suoi eccessi e per quel suo modo scorbutico e anticonvenzionale di porsi verso il pubblico e verso la società.

Un utilissimo punto di riferimento, dunque, sia per gli appassionati sia per i neofiti, quelli (spero sempre più numerosi) che si avvicinano al dottor Destouches, in arte Céline, uno dei più grandi interpreti della realtà umana e del dolore della modernità.

martedì 21 aprile 2009

Merci beaucoup!

Volevo ringraziare tutti i visitatori per il continuo e crescente attaccamento che dimostrate a questo Blog, iniziato come un diario personale del mio affetto verso Céline, e che ora, grazie ai contributi di molti di voi, come Gilberto, Antonio e Saverio, sta diventando un sempre più interessante punto di riferimento per "noi" céliniani, célinofili, e célinmaniaci!

Un grazie particolare ai lettori nostri sostenitori, e agli affezionati di lungo corso come Sysyphus, Gisela, Marina, i Blogger nostri amici e un discreto numero di "anonimi" che ci hanno dato appoggio e suggerimenti!

Andrea

PS vi incoraggio a inviare al nostro indirizzo e-mail commenti, idee, notizie bio-bibliografiche e quant'altro vi sembri intrigante su L.-F. Céline, sarà un piacere pubblicare i vostri contributi.

Louis-Ferdinand Destouches e La Chinina in terapeutica





Il noto bibliofilo Roberto Palazzi nel numero 48 di settembre/ottobre 2000 del bimestrale CHARTA (articolo ripubblicato nella raccolta di scritti dello stesso Palazzi intitolata Scritti di bibliografia, editoria e altre futilità edito da Biblohaus nel 2008) scrive «I collezionisti italiani di Céline sono stati colti dal panico quando, nel 1977, sfogliando l'appena pubblicato Album Céline, a pagina 82 hanno trovato riprodotto il frontespizio di un libro mai visto prima: La chinina in terapeutica, del dottor Luigi Destouches, 1930».
Veniva così, improvvisamente, abbattuta la convinzione, fino ad allora consolidata, che la prima opera di Céline tradotta in Italia fosse il Viaggio al termine della notte nell'edizione Corbaccio del 1933.
Come si può facilmente intuire dal titolo, non si tratta di un'opera letteraria, bensì di un testo di carattere medico-farmaceutico incentrato sugli studi chimici e terapeutici della chinina. Il volume, di 119 pagine, venne stampato da una tipografia di Amsterdam a spese della SDN ( della quale Céline era in quegli anni sotto contratto). Secondo le testimonianze di alcuni colleghi bretoni di Céline (che all'epoca viveva a Rennes), riportate nella tesi di medicina di François Balta intitolata La vie médicale de Louis Destouches, 1977, il trattato sarebbe solo in parte farina del sacco del futuro romanziere, chè avrebbe attinto ampiamente dai lavori del prozio Théodore Destouches, professore di farmacia alla Scuola di medicina di Rennes nella seconda metà dell'800. La chinina in terapeutica viene pubblicato in Francia nel 1925, un anno dopo la presentazione della tesi di medicina Il Dottor Semmelweis



e sette anni prima di quel romanzo che rivelerà al mondo intero l' immenso talento di un medico sconosciuto e dal nome fittizio preso in prestito dalla nonna materna.




Scheda a cura di Gilberto Tura

mercoledì 15 aprile 2009

Louis-Ferdinand Céline, gatto randagio: intervista a Marina Alberghini su Panorama.it



Bollato con l’infamante stampino dello scrittore maledetto. Accusato di antisemitismo, nazismo, collaborazionismo. Autore di pagine memorabili e di requisitorie infamanti. Louis-Ferdinand Céline si è cucito addosso, suo malgrado, una fama inversamente proporzionale al valore di alcune delle sue opere, fama peraltro incrementata da scelte pubbliche controverse e pagine violentemente antisemite.Con una monumentale e dettagliatissima biografia dal titolo Louis-Ferdinand Céline, gatto randagio, di recente pubblicata da Mursia, Marina Alberghini ha messo a fuoco la figura del grande scrittore, rivalutando la vita di un “uomo che si farà preda per stanare il potere e denunciarlo, da qualunque parte esso provenga”.
Un atteggiamento polemico che riverserà anche nei confronti della Russia comunista….
Sarà quella l’accusa più dirompente, che distruggerà la sua esistenza. Dopo un viaggio in incognito in Russia, nel ’36, denuncerà gli orrori di Stalin in Mea Culpa e poi in alcune lettere e pamphlet, attirandosi l’ira e la persecuzione dei comunisti francesi e della loro intellighenzia. Oggi si parla molto del massacro di Katyn. Ecco, Céline fu il primo a dire che erano stati i sovietici a sterminare i polacchi. Una verità che adesso è nota, ma che allora gli costò l’offesa da parte dei comunisti francesi di filo-nazismo.
Lei racconta anche di un Céline che anticipa di un torno d’anni l’incombere della seconda guerra mondiale….
Nel 1933 fece un discorso pubblico, l’Hommage à Zola. Tuttavia, non parlò dello scrittore francese. Piuttosto, preferì concentrarsi sui totalitarismi che stavano dilagando, analizzandoli mirabilmente alla luce delle scoperte freudiane e dimostrando che è l’impulso di morte che porta un popolo ad asservirsi al suo dittatore e a provocare la guerra. Nessuno storico di rilievo ha evidenziato quest’aspetto, anche perché la persecuzione di Céline da parte degli intellettuali della gauche fece scomparire tutti i documenti, tornati alla luce solo recentemente.
Un esempio?
Molte sue lettere testimoniano questa previsione. Eppure, diversi studiosi hanno ribaltato la realtà. È il caso di uno dei suoi vecchi biografi, che postò una sua missiva del ’33, dove scriveva: “Al fascismo andiamo, noi vogliamo” e la piantò lì, per far capire che Céline era filo fascista. Ma la lettera continuava: “…perché questa Europa imputridita non si merita di meglio”. Nel mio libro, ovviamente, la lettera è riportata integralmente.
Veniamo al tanto discusso antisemitismo. Difficile sottovalutare le invettive di Bagatelle per un massacro.
L’antisemitismo di Céline è molto marginale rispetto alla sua opera. È riscontrabile in un solo pamphlet ed è stato messo in risalto per colpirlo. Il suo supposto collaborazionismo non è mai esistito e il mio libro lo dimostra con documenti ineccepibili usciti ultimamente. Céline non invocò mai un pogrom e neanche le camere a gas, che non sapeva nemmeno esistessero. Viene considerato antisemita anche L’Eglise, scritto per colpire Raichmann, un ebreo a capo della Società delle Nazioni. Ma quell’opera colpisce più che altro il potere della parola, quello politico verbale, che appartiene a tutti e non parla di ebrei o ebraismo. L’autore di Morte a credito ebbe poi molti amici e difensori ebrei, e ne salvò altrettanti dalla persecuzione nazista grazie a certificati falsi.
Céline e l’eros: un rapporto complesso, eppure utile per capire alcune delle sue scelte.
Credeva molto nelle donne, tanto da scrivere che quando il potere “muscolare” maschile sarebbe finito, esso avrebbe lasciato il posto a quello intuitivo femminile ed il mondo se ne sarebbe certamente giovato. Era per la completa libertà sessuale della donna, convinto che il suo potenziale erotico fosse di molto superiore a quello dell’uomo. Tra loro, amò molto le danzatrici classiche, definendole “musica fatta carne”. Ebbe tre mogli e un numero infinito di amanti, una delle quali tentò il suicidio quando decise di lasciarlo. Era un uomo avvenente, con un fascino magnetico ed erotico che faceva davvero strame sia tra il pubblico femminile e anche…. in quello maschile. Praticò una sessualità senza confini, non fu mai omosessuale sebbene non nutrisse alcuna preclusione contro i gay. Ed infatti quando Jean Cocteau fu attaccato dai fascisti per la sua relazione con Jean Marais, lo difese strenuamente.

Marina Alberghini: vi presento il vero Céline
di Filippo Maria Battaglia

martedì 14 aprile 2009

Omaggio a Céline, di Arno Breker - Revue Célinienne 1982









Il nostro lettore Antonio ci ha gentilmente inviato alcune pagine della cartella Omaggio a Céline di Arno Breker, pubblicata dalla Revue Célinienne nel 1982, scrivendoci:

Il rilievo che Céline aveva per Breker lo toccai con mano quando, all'inizio del 1980, visitai Breker, già in cattive condizioni di salute, nella sua casa atelier di Duesseldorf.

Nella grande stanza studio, dietro la scrivania, troneggiavano 4 busti in bronzo, tra cui Pound, De Montherlant e, naturalmente, Céline. E nella libreria faceva bella mostra di sè un'edizione francese di Bagatelle.

Ringraziamo Antonio per le foto e per la interessante testimonianza.

sabato 11 aprile 2009

Louis-Ferdinand Céline, Gatto randagio, di Marina Alberghini, recensito su Libero



Diario dal carcere di uno scrittore randagio
Louis-Ferdinand Céline

Pubblicato il giorno: 26/03/09

9 gennaio 1946
Mia Lucette carissima, è dura avere il mondo intero contro di sé – a me, che non ho mai fatto male a una mosca, questo appare come un incubo spaventoso che non mi riguarda e tuttavia... Abbraccia i nostri amici per me e Bébert (l’amatissimo gatto di famiglia, ndr).
13 (o 20) gennaio 1946
Mia Lucette carissima sono solo molto debole per lo choc e le vertigini. Ma non soffro, sono pieno di medicine. Sono sempre con te e con Bébert e ti parlo continuamente. Sai come riesco facilmente ad astrarmi dalla vita reale. Sono così felice di saperti libera.È stato, io credo, il peggior supplizio che abbia potuto sopportare, senza nome. Ti amo talmente piccola mia che posso sopportare tutto, tutto tollerare e pazientare. Sono sempre con te. Non mi resti più che te. Ma curati, non essere troppo triste mangia bene cerca di danzare. Questo mi dà forza. Sai quanto amo quello che fai. Abbraccia Bente e madame Johansen e Bébert piccino.
6 febbraio 1946
Mia Lucette carissima, sono ritornato ieri in prigione (dall’infermeria al braccio della morte, ndr) come presentivo, ma ora sono tutto solo in cella e sto benissimo così. Mangio bene, qui mi viziano. (Céline mente per non precoccupare la moglie, ndr). Non essere triste per me questo mi fa male più di tutto il resto. Preferirei morire che saperti infelice. E poi tutto questo non potrà durare a lungo, una decisione sarà presa in un senso o nell’altro ma usciremo da questa atroce incertezza alla quale penso nessuna fibra potrebbe resistere a lungo e la mia vale già ben poco. Parlo con me stesso con te e con Bébert. Sono le brutalità che mi distruggono completamente, ho cuore e testa troppo malati ora per ritrovare il mio equilibrio come si dovrebbe. Io sono sempre con te, mia piccola cara e tu sai che per me brètone l’assente conta più del presente.
26 febbraio 1946
Mia piccola cara, mi svegliano verso le 4, le 5. Sento entrare le guardie, animarsi la prigione. Alle 5 mi alzo. Resto un po’ intontito. Mi faccio il letto e pulisco la stanza molto lentamente, tanto nessuno mi mette fretta – ho tutto il tempo che voglio – lavo per terra 2 volte la settimana, ma senza fatica. Le guardie sono molto gentili con me. Poi c’è la passeggiata fino alla mia gabbia dove sono da solo e resto 25 minuti all’aria aperta, il che è un favore, contemplo gli uccelli e il cielo e le cime degli alberi tutto lo spettacolo del mondo affascinante dei viventi. Non mi muovo molto perché sono sempre debole e soffro di leggere vertigini – ma mi lasciano libero di camminare sul mio ritmo. Finita la passeggiata torno in cella dove aspetto il pranzo. Resto con la testa fra le mani, mi trovo meglio così, penso agli affari miei e anche a pièces teatrali che faccio e disfaccio. Tu sai come mi sia facile entrare in uno stato semisonnambolico non troppo doloroso e anzi piacevole nello stato in cui mi trovo. Mi curano benissimo, mi danno un calmante la mattina, della paraffina e dei semi di lino. Arriva il pranzo curatissimo e copiosissimo. Dopo pranzo mi va, se non ho troppo mal di testa, lavoro alla storia delle nostre disgrazie che sto scrivendo. Ecco ben presto la cena ancora più ricca verso le 6. Là dopo 2 ore, assai penose – ma lo sono veramente la malinconia del giorno mi casca addosso. Ma posso ancora fuggire dal mio stato «secondo» se si può definirlo così e leggere e scrivere un poco. Otto ore la giornata è passata e si va a letto dopo un altro calmante paraffina e seme di lino. La prigione è un luogo sacro le cui regole sono misteriose e implacabili.
30 marzo 1946
Mia piccola diletta bambina, presto la luce del lunedì (il giorno di visita di Lucette, ndr) e poi la notte di sette giorni! So che di tutto questo tu soffri più di me, mio tesoro. Io soffro, io, di saperti tanto sola, così desolata, là a poca distanza dalla mia prigione. Non oso chiedermi che ne sarà di te. Sarebbe troppo angoscioso, immobilizzato come sono. La tortura vedi non è tanto la prigione (che già basterebbe da sola) quanto l’incertezza del tempo del supplizio. Ci si prepara, si programma una certa resistenza per un tempo definito. È inumano chiederci l’infinito, e restare nel vago che per un prigioniero è l’infinito. Mi hanno detto tre settimane, sono già tre mesi. E ora tre anni? Trent’anni! Questo non ha senso. Io non sono impaziente, mia cara, ma ho un’età, ecco tutto. Non sono sicuro di durare a lungo, perché servire da giocattolo ai maniaci e ai cavillatori? Non sono ancora alla fine, mia cara piccolina. Non crederlo. Non prendere sul tragico tutto ciò che ti scrivo. Mi fa bene scriverti quello che penso. Non chiederei di meglio che pensare a qualche altra cosa, ma le sbarre sono là e le chiavi. Gli esseri umani così futili e smemorati finora non hanno realizzato che una sola stabilità sociale: la Prigione. Sono sempre vicino al tuo cuore.
Aprile 1946 s.d.
Si deve arrivare al misticismo come gli anacoreti nel deserto – una dolce idea fissa – l’infinito a due e Bébert. Si è così molto felici – nessuno vi secca più – si soffre a riattaccarsi al mondo, personalmente io sono già morto. Non piangere per noi, niente può essere peggio di così! È finita ormai noi siamo dei gentili morti molto affettuosi – Tu verrai a trovarmi al Père Lachaise – Io sarò sempre con te. Ho talmente sofferto l’esilio, che la morte là sotto mi sarà assai dolce. Mai più si deve essere tristi ma anzi ridere – come un tempo i monaci – è una fede che ci vuole ecco tutto. E tu l’hai. – il martirio è un piacere, una volta che si è disprezzato a fondo il boia.
Dopo la lettera precedente, nella quale è evidente che Céline si sta preparando alla morte, Lucette, per rianimarlo, riesce a portargli di nascosto nell’infermeria, nella quale lo scrittore viene ricoverato periodicamente, il gatto Bébert chiuso in una borsa.
9-15 aprile 1946
Che gioia ho provato a rivedere il mio Bébert, con la sua faccetta da farfalla sempre tanto graziosa! e come è stato gentile! Quanto lo amo.
Quanto Bébert è gentile e intelligente! Lui capisce benissimo la situazione...
6 settembre 1946
Mia piccola cara, eccoci tornati sull’abisso. Pare che non ci sia niente da fare. Non piangere. Anzi, stai su con la vita. Non ricadere nella disperazione di prima. Che aggiunge angoscia alla mia angoscia. Tutti i sadismi sono scatenati, imbacuccati in alibi eccellenti, patriottici ecc... Che vuoi farci? Noi si è fatto il possibile. E allora, come la bestia troppo braccata... si comincia a chiedere il colpo di grazia. Tutto qui. Sono anni ormai che la mia non è più una vita. Ogni giorno ogni settimana è un surplus di orrore o di pena. È un calvario interminabile, in cui decado progressivamente. Allora, tanto peggio! ... io non soffro, ma sono troppo sensibile, troppo malandato ora, per sopportare questi colpi, troppo vecchio anche. Come ho saccheggiato la tua vita! Quanto mi pento di avere sconquassato, per i miei eccessi, tanti focolari, tanta brava gente, tanti affetti Sono stato stupido e vigliacco. Avrei dovuto sparire prima. Essere solo io a pagare per i miei errori. E invece ti ho trascinata in tutto questo, povero tenero innocente tesoro. Che bruto! Penso a te e al nostro povero passato – Saint-Malo – Scavo il passato nella cenere calda. La vera vita, ha detto Renan, la vera esistenza, dopo tutto, non è che quella che continua nel cuore di coloro che ci amano. Allora, vedi, se si va al peggio, il che è assai probabile, per come stanno andando le cose, non bisogna piangere. Io sarò sempre una piccola parte che vivrà in te, ecco tutto. Che può, contro questo, l’infinita crudeltà degli uomini? Niente di niente. Contro questo, essi sono disarmati! E poi, saremo giunti alla fine delle pene. È questo che conta. Io non sono sempre stato affettuoso con te quanto meritavi ma, sai, io vivo da tanto tempo nell’angoscia. Veramente, anzi, io non vivo più, sono come intronato dalla brutalità del mondo. Mi ci sono buttato dentro come affascinato dall’abisso – e l’abisso mi ha inghiottito – è normale – è la vertigine. [...] Io non soffro. Non penso che a te.


a cura di Marina Alberghini

venerdì 10 aprile 2009

L'avanguardia, Marinetti e Céline



Roberto Floreani, veneziano di nascita,vive e lavora a Vicenza. È uno degli artisti più interessanti della sua generazione, come conferma l’invito a partecipare alla mostra «Collaudi», curata da Beatrice Buscaroli e Luca Beatrice, che aprirà il 7 giugno il nuovo Padiglione Italia della 53° Biennale di Venezia. Le sue posizioni rispetto alle avanguardie, quella che lui chiama arte di regime sono molto nette. È stufo di quelle provocazioni che piacciono tanto al mercato dei collezionisti.
C’è un fatto nuovo all’esposizione veneziana di quest’anno: la riscoperta della pittura e del disegno, di cui lei è uno degli artisti più apprezzati. Significa che la videoarte, le installazioni, eccetera, cominciano a segnare il passo?
«Io rivendico, nella mia opera, la sapienza del fare, il corpo della pittura e per questo preparo la base del quadro, i colori, insomma uso una metodologia rinascimentale, pur essendo un artista del mio tempo. Il disegno è fondamentale, a patto che non diventi virtuosismo fine a se stesso e che l’artista non diventi prigioniero della sua bravura. Io valuto la tradizione ma contemporaneamente mi sento figlio dei futuristi. Loro sono costruttori, mentre Duchamp e i dadaisti sono distruttori dell’arte. Credo profondamente nel corpo della pittura, che deve sempre vedersi».
Che cosa è la pittura astratta, di cui lei è un brillante esponente?
«La novità assoluta del Novecento, soprattutto per gli artisti della mia generazione (sono nato nel 1956), è l’astrazione. Balla è stato il più geniale in questa direzione e io mi sento assai più vicino a lui che a Kandinski. Lui ha un’idea calda, emozionante dell’astrazione, mentre in Kandinski c’è un’idea più fredda, più costruita dell’immagine astratta. Le mie radici di artista sono però anche di tipo filosofico e letterario. Marinetti e Ezra Pound hanno influenzato me e tutti quegli artisti che non si sono legati oggi a un’arte di regime».
Che cosa intende con «arte di regime»?

«Arte di regime non in senso ideologico, ma in senso economico, perché oggi, e rispondo alla sua prima domanda, l’arte nasce dalla comunicazione e dal denaro. Guardi che cosa ha fatto Saatchi che, da un giorno all’altro, si è inventato paladino di artisti che, come Damien Hirst, affettano gli animali o fanno anche di peggio. Noi abbiamo Cattelan con le sue provocazioni esaltate dai media, come l’asino impagliato e Vanessa Beecroft con i suoi recenti extracomunitari che hanno sostituito le modelle nude dipinte. Gli artisti portati dal mercato cavalcano un’arte spettacolare, pruriginosa, falsamente trasgressiva, applaudita da tutti quelli che contano, dai media ai direttori dei musei fino ai critici. Una volta l’avanguardia veniva fischiata, oggi quella che viene spacciata per tale, riceve solo elogi e quotazioni abnormi sul mercato».
Ma che cosa deve essere l’artista che non si vuole piegare a questo stato di cose? «Deve essere inattuale, riprendendo la manualità, gli strumenti della pittura contro tanta arte contemporanea, che mutua i suoi temi perfino da internet. La molla del pensiero nuovo deve essere quella di andare controcorrente, come hanno fatto i futuristi, ma anche Pound e Céline. Oggi se vivesse, Marinetti canterebbe canti gregoriani in chiesa».

Da: http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=342830&START=0&2col=

martedì 7 aprile 2009

Alberto Arbasino incontra Louis-Ferdinand Céline: Docteur Destouches





La 1a e 2a edizione di Parigi o cara.

DOCTEUR L.F. DESTOUCHES
14 - 16 SAUF VENDREDI*

"...Mussolini. Io l'ho conosciuto bene...abbiamo spesso lavorato insieme, a Palazzo Chigi...". Con queste iperboliche parole, nell'estate del 1957, il Dottor Destouches, nel ricevere un Alberto Arbasino ventisettenne, rievoca quelli che erano stati i suoi ultimi rapporti con l'Italia quando, tra il luglio e l'agosto del 1925 per conto della Sezione d'Igiene della Società delle Nazioni, aveva guidato una delegazione di medici latino-americani in Italia per un viaggio di studio sulle condizioni igieniche, la campagna di bonifiche e l'applicazione dell'uso del chinino, con visita alle città di Torino, Ferrara, Ravenna e Roma dove la missione venne ricevuta dal duce a Palazzo Chigi.
Il resoconto di quell'incontro, insieme a quelli che Arbasino fece a Mauriac, Simenon, Miller, Cocteau e i reportages sulla scena letteraria e artistica parigina ed europea della fine degli anni '50, apparve nel 1960 nel volume Parigi o cara edito da Feltrinelli. Arbasino riferisce di "un vecchio sfinito, in stato di assoluto abbandono, troppo stanco e confuso...perché sembri importargli - in definitiva - di nulla...circondato da uno squallore incredibile". Nel 1995 Arbasino, secondo una consuetudine che caratterizzerà quasi tutta la su opera, sottopone il libro a una nuova riscrittura e rivisitazione (questa volta il volume viene pubblicato da Adelphi). L' ormai remota intervista a Céline viene così accresciuta dal breve racconto del suo ritorno al 25 ter di Routes des Gardes trentotto anni dopo. Ad accoglierlo é l'ultraottantenne vedova Lucette che nonostante l'artrite è ancora "vispissima e cortesissima" e nel salutarlo gli dichiara emozionata "gli italiani sono sempre stati i migliori, con mio marito!".

* Iscrizione che Arbasino, al suo arrivo, scorge sulla vecchia targa affissa sulla rete di recinzione dell'abitazione di Céline, indicante i giorni e gli orari di visita del Dottor Destouches.

Scheda di Gilberto Tura

DOCTEUR DESTOUCHES
di Alberto Arbasino

A Meudon, giù dalla ' route nationale' che conduce a Versailles, percorsa da vecchie automobili volgari come nei film in bianco e nero del Front Populaire, si attraversano sentieri fangosi quasi deserti, terreni vaghi fra casette sordide, e anziani esemplari di una specie umana scoraggiata: il tocco ultimo della miserabilità solitaria sembra dato dagli apparecchietti acustici col cordone. Aria da reportage fotografico d' altri tempi, da archivio. Sopra una massicciata della Route des gardes, fra abitazioni in rovina e orticelli melmosi pieni di gatti, due cartelli si affiancano al di là d' una rete metallica. Rosso, di celluloide, il più vistoso dice: LUCETTE ALMANZOR, de l' Opera-Comique, Laureate du Conservatoire de Paris, Danses classiques et de caractère, Danses orientales et espagnoles, Castagnettes, Compositions, Assouplissements, Tous les jours cours d' ensemble et particuliers. L' altro, di bronzo semicancellato, appeso ad un paletto, porta come una lapide mortuaria solo un nome, DOCTEUR L.F. DESTOUCHES, e due cifre, 14-16 sauf vendredi. In questa villetta dilapidata, circondato da uno squallore incredibile, vive ancora l' autore del Voyage au bout de la nuit, che tanti anni fa scambiò il suo nome da ' chevalier' di Barbey d' Aurevilly con quello di sua madre o sua nonna contadina o artigiana, Céline. E dopo la pubblicazione del nuovissimo libro D' un Chateau l' autre, montato come un evento fra i più sensazionali e paragonato per importanza all' opera almeno di Proust, amaramente assiste alla propria riscoperta come post mortem dopo un silenzio ufficiale tanto lungo. Dice "è inutile", dice "è troppo tardi". I visitatori delle settimane recenti gli prestano propositi disumani e pieni di ferocia. Riferiscono suoi mots rivelatori di odio contro la Francia, odio contro la letteratura, contro l' umanità, contro Gallimard che l' ha voluto nell' abiezione per creare un caso mostruoso, e preferibilmente postumo. Ho trovato un vecchio sfinito, in stato di assoluto abbandono, in un maglione a pezzi, fra mobili e pavimenti che invitano al grido di "ma non ce l' avete uno straccio per la polvere in questa casa? Piuttosto ve lo porto ioé", troppo stanco e confuso e al di là d' ogni possibile moto del cuore perché sembri importargli - in definitiva - di nulla. "Un italiano?" si stupisce facendomi entrare. "Da decenni non ne ho visto più uno". Guarda qua e là. Mai in faccia. "Del resto, troppo giovane" fa "per avere avvicinato Mussolini. Io l' ho conosciuto bene, quando voleva bonificare Roma. Parlo di più di trent' anni fa. Abbiamo spesso lavorato insieme a Palazzo Chigi, in una gran sala con un gran mappamondo, e dove gli piaceva tanto fare entrate teatrali... Andavo là con una commissione di medici della Società delle Nazioni. C' erano parecchi sudamericani, specialmente; e il professor Ottolenghi che rappresentava l' Italia. Era estate, faceva anche allora un gran caldo... Forse è proprio per sfuggire al caldo che i Romani partivano sempre per conquistare l' Europa... Ricordo come si cuoceva davanti a quell' immenso monumento bianco, che pare fatto apposta per servire di sfondo ai veli delle vedove". Poi attacca. "Imbevuto di miti esclusivi, il Francese è asociale, politicamente stupido, tende all' assolutismo in qualunque cosa, tira a fare effetto, non importa a quale prezzo, e questo spiega tutte le convenzioni, e spiega le gelosie... Non che io mi fidi, naturalmente, non mi sono mai voluto immischiare... E spiega anche fra gli avvenimenti del recente passato, per esempio, la costituzione del ' trust dei martiri' , molto esclusivo anche quello, tutti di una parte sola... Direi che è proprio curioso come in un paese così indiscreto e così bavard si riesca a mantenere un vero silenzio più o meno ufficiale su certi fatti, su certe persone... Prontissimi tutti a piangere sui poveri ungheresi, a commuoversi per gli eroici polacchi... mai su alcuni francesi... "Ma il Francese continua a nutrire le proprie illusioni... Crede sempre d' essere Luigi XIV... e che basti un gesto per imporsi a chiunque... mentre si trova in un paese ridotto all' importanza di un dipartimento... o meno ancora... Ah, le sorprese spiacevoli che poi continuamente gli càpitano, se le merita tutte... Ma del resto, cosa m' importa di quello che dicono o possono dire... le generazioni nuove, che poi sarebbero diverse dalle generazioni vecchie, vero... puahé... Per quel che importa... I soli interessi sono la letteratura e la cucina... La cucina, si fa tanto per dire... Ma la letteratura... Ah, la letteratura... "Vedete: il francese è una vecchia lingua, secca, asciutta, decrepita, disseccata dagli accademici e dai gesuiti... Tutto quello che ha preso dalle letterature classiche, è stato continuamente prosciugato, e raffinato a fondo per quel che riguarda il lato giuridico della faccenda, cioè lo sforzo di esprimere chiaramente le idee e i concetti... Ma io mi domando che senso ha tutto questo sforzo raffinatissimo, questo linguaggio ormai secco e morto e ' giuridico' , che non riesce a prender dentro né la realtà né la verità... E lascerà sempre fuori le emozioni e i sentimenti... "Lo aveva già capito benissimo Goethe, parlando con Madame de Stael dell' esprit francese, che la maledetta clarte ha rovinato tutto, e senza rimedio... Basta guardare ai mistici e ai romantici tedeschi, per intendere cos' è quel senso del mistero che i francesi non sono mai più in grado di rendere con la loro lingua... E invece esisteé E' l' essenziale della naturaé... Solo, non si può afferrarlo, e riprenderlo, e riuscire a farlo sentire, con gli strumenti troppo razionalizzati che ci sono rimasti... "Lo dice bene il biologo Sauvy (?)... Non è vero niente che in principio era la parola...Macché, viene prima l' emozione! dagli esseri unicellulari in su... La parola, semmai, viene dopo: per descrivere l' emozione... E per descriverla, a che cosa ci serve quel linguaggio secco, adoperato in maniera disseccata?... A un certo punto, ecco, tutti vengono presi da questa mania! e si mettono a voler scrivere come Voltaire: vedi poi France, vedi poi Bourget... E si credono tutti tanti Voltaire: maniaci... Vedi le scuole, vedi i concorsi per le carriere... tutto... E poi basta aprire un giornale qualunque: on fait du chromo... "Sulle pubblicazioni per medici che ricevo ancora, guardo le riproduzioni d' arte, che spiegano questo meglio di tutto... Il Francese vuole riconoscere e riconoscersi, tutto contento di trovare la somiglianza: il modello che somiglia alla fotografia, e la fotografia che somiglia al modello... Si va avanti così, e tutto è predisposto: si continua a rifare il liceo, tutto, sempre, nei concorsi, nei diplomi, nelle carriere... Anche quando si tratta di raccontare le viol de la grand-mère da parte dei nipotini sui quotidiani della notte... "Ah, qui non sarebbe più possibile a un Balzac di descrivere la vita di un medico di campagna, né a un Flaubert di raccontarci i suoi adulteri provinciali... Come deve fare a esistere, oggi, il romanzo documentario di un tempo, quando si trova una massa di documenti dappertutto... Ci sono i giornali, le riviste, la radio, e le ragazzine imparano il parto senza dolore, e a quattordici anni i bambini sanno già tutto, dopo Gide e molto meglio di Gide, sull' omosessualità, sul fouet... "Il risultato è che tutto è banale, niente è originale... Se non il colorante. "Nel 1941, condannato a morte, in circostanze bizzarre... Un essere umano condannato a morte (si può ben direé) dal mondo intero... che è una drole d' attitude, e come atteggiamento può dare una ' visione del mondo' abbastanza deformata... Allora le parole assumono un valore tragico... Cioè, il colore conveniente... Questa è la cosa che m' interessaé... perché lo stile è questione di colore... E bisogna aver vistoé... Non dirò veni vidi vici, dirò piuttosto ho persoé... perché sono stato battuto... Però c' eroé... Proust ha descritto il mondo in cui viveva. Io che non sono pederasta e non vado in società, ho raccontato ciò che ho veduto, senza esagerare niente... Semmai limitandomi... "... Perché io sono uno stilista, solo questo... Mi importa soltanto lo stile, dunque m' interessa solo il colore... Del resto, dal romanzo non c' è più nulla da aspettarsi... né da imparare... Ormai i contatti umani sono tanti, e così invadenti, che l' insegnamento e l' educazione non hanno più niente in comune con la letteratura... e viceversa... Ma a me interessa solo il punto di vista emotivo: solo questo appare nel libro. "E adesso basta: l' autore è un fornitore e non un consumatore, non deve giudicare niente. Chi prende una nave desidera svagarsi; mentre io sono giù alle macchine e lavoro alle prese con nafta e carbone... Ma questo non riguarda il passeggero che ha pagato la crociera, e ha il diritto di divertirsi... Sono due mentalità diverse, quella del passeggero e quella del macchinista... Dunque ciascuno stia al proprio posto: tanto, si troverebbe a disagio, nell' ambiente dell' altro... Il cliente, poi, dev' essere soddisfatto: non tocca a me giudicare le altre navi, spetta a lui... E se non gli piace la mia, ne prenda un' altraé... E' una questione di concorrenza fra compagnie di navigazione... Addirittura c' è chi preferisce il treno o l' aereo; e così la concorrenza diventa ridicola... "Ma per scrivere, bisogna esser giovani e avere soldi... Io, vecchio come sono, scrivo senza nessun entusiasmo... Non si fanno più i merletti... Mia madre li faceva ancora... Sono cose che andavano bene quando la vita non aveva un prezzo, ora tutto è finito... Romanzi? Macché, c' è troppa gente che va in automobile, che vuole arrivare in fretta... Vivono sospesi in un mondo fra il comunismo e le vendite a rate... senza contare che il comunismo stesso diventa sempre più conforme, fidèle, bourgeois...E' inutile marchiarli a fuoco come facevano gli antichi per non lasciarseli scappare... Avrete schiavi più fedeli per mezzo delle vendite a credito... E ci arriveranno presto anche gli stati comunisti, a questo sistema... Del resto, basta guardare tutti quelli della Renault, qui intorno: dormono per terra, non mangiano, però hanno tutti la macchina, e non si muovono più... "Anche il papa, ci arriverà... Del resto nel Rinascimento teneva fior di galere, l' ho letto nelle memorie del capitano Pandéra (?)... Chi gli impedirà di produrre automobili e lavabiancheria?... Ogni confessione, un buono per una rata... E le comunioni abbinate ai concorsi a premio... E' abbastanza furbo, lo farà, lo farà... Del resto ha sempre detto di no alle ideologie che puzzano di sangue, di razza, di conquista della terra... mentre dimostra tanto entusiasmo per la civiltà delle macchine... "E cosa deve importare, a questi, del romanzo?... E' un impegno che sorpassa le forze attuali: manca il coraggio, la costanza, ci sono i modelli già fatti, lì pronti... Così esiste spesso il piano dell' opera, ma poi il romanzo manca... E' molto comodo anche qui applicare la formuletta... Adoperare la piccola frase fatta, appresa al liceo... E continuare a rifare il liceo per tutta la vita... Ho l' impressione che gli sforzi e il lavoro si applichino solo nelle professioni tecniche, mai nell' arte... Tanto, c' è il cinema... ' Ah, la rigueur des vieux agesé' come diceva il Misantropo di Molière... "... Ma io sono soltanto uno stilista. Per questo non scrivo romanzi... M' importa solo il colore, il mistero delle emozioni e delle parole... Soltanto questo si dovrebbe vedere in tutti i miei libri...". E quando si arriva alle ultime domande sciocche, inevitabili (si chiederanno i suoi progetti?), risponde "morireé". E se cercando una frase cortese - dopotutto è stato con me un intero pomeriggio - dico, adagio, che spero di rivederlo, allora ha il primo gesto d' impazienza. "Mais oui, mais oui, monsieur" sbuffa. E si volta a occuparsi solo delle pentole per i cani. (estate ' 57) Tornando lì dopo quasi quarant' anni, il vecchio pavillon sembra abbastanza immutato, al di là del cancelletto ora verniciato di celeste. Ma tutt' intorno si innalzano dei condomini uniformi di parecchi piani, coi fiori ai balconi e le automobili sulla porta; e la grande stanza deserta è suddivisa adesso in ambienti più piccoli e pieni di sofà e tavolini e cuscini e gabbie d' uccelli e televisori. C' è stato un grosso incendio, ha distrutto anche molte carte. E i cani paiono sempre i medesimi: cinque o sei, enormi, però Madame Lucette sostiene di averli trovati randagi. Lei ha passato gli ottant' anni, ha l' artrite però è vispissima e cortesissima, e gli amici che l' assistono spiegano che ha insegnato la danza fino a poco fa. In queste periferie? ma certamente: proprio qui la borghesia piccola e smaniosa spinge le proprie bambinacce più grasse e brutte dalle maestre di signorilità. Siamo un po' emozionati, e mi offre il volume della Pléiade con la Trilogia del Nord. Non vorrei che rifacesse le scale apposta: li ho già tutti nelle prime edizioni di Gallimard. Ma la signora insiste: "gli italiani sono sempre stati i migliori, con mio marito!". (estate ' 95)

lunedì 6 aprile 2009

Recensione di Louis-Ferdinand Céline, gatto randagio su Tuttolibri



Imputato Céline, voi siete assolto!

di Ernesto Ferrero

La guerra, il colonialismo, le catene di montaggio, il degrado delle metropoli...Viaggio al termine della notte è probabilmente il romanzo che meglio d’ogni altro rappresenta i drammi del Novecento, e con una dirompente novità stilistica, la cui forza è ancora oggi intatta. Come è possibile che il suo autore, Louis-Ferdinand Destouches in arte Céline, il caritatevole medico dei poveri, abbia scritto tra il 1935 e il 1941 tre pamphlet che contengono deliranti invettive antisemite? Come è possibile che l’onesto dottor Jekyll si sdoppi nel mostruoso Mr. Hyde, che denuncia nelle lobbies ebraiche l’icona stessa del Male che avrebbe sommerso il mondo?

Gira gira, siamo sempre lì a interrogarci sulle scissioni che possono mettere l’uomo contro lo scrittore. Si sa: le qualità di un artista non producono per ciò stesso una corretta lettura della realtà e della Storia, e men che mai della politica. Pound docet. Ma qui il caso si presenta particolarmente spinoso e complesso. Questo è anche il nocciolo della ponderosa biografia che Marina Alberghini, francesista fiorentina che adora i gatti, dedica a Céline gatto randagio (Mursia, pp. 1160, e 29). Etichetta pertinente, visto il suo nomadismo insofferente d’ogni vincolo. E poi Céline è il felice padrone di Bébert, felino di intelligenza più che umana, amato come un figlio, uno dei pochi personaggi positivi della storia, insieme all’angelica moglie Lucette, la piccola danzatrice andalusa che fu la sua Beatrice.

È la prima biografia scritta in italiano, ovviamente debitrice delle tre apparse in Francia (Gibault, Alméras, Vitoux), delle migliaia di lettere uscite in questi anni, di una pubblicistica imponente, ma anche di indagini e interviste condotte di persona. Prende Céline tutto intero, in blocco, com’è giusto che sia: viscerale, magmatico, assetato di martirio. Il tono è quello, a volte quasi colloquiale e informale, di una appassionata arringa difensiva, che vorrebbe non soltanto scagionare l’imputato da accuse non provate, ma addirittura risarcirlo della proscrizione che lo tenne lontano dalla Francia sino al 1951, mentre altri, più colpevoli, se la cavarono con molto meno. In effetti Céline, bastian contrario sempre controcorrente, era un capro espiatorio ideale: per quanti s’erano compromessi con Vichy, e per quanti avevano aderito acriticamente al comunismo sovietico. Lo stesso Sartre, che dopo la guerra accuserà ingiustamente Céline d’essere stato pagato dai nazisti, durante l’occupazione era legato a una rivista collaborazionista. Ha buone ragioni la Alberghini nel sostenere che Céline, «comunista d'animo», come si autodefiniva, pagava anche la colpa di avere denunciato lo stalinismo sin dal 1936: «Tutto è polizia, burocrazia e caos infetto. Tutto bluff e tirannia...». Ma anche lì, il «socialismo reale» era per lui una metafora dell’eterna difettività dell’uomo. Come in Gadda, il suo furore accusatorio nasce dalla ferita di una delusione che non si dà pace.

Strano antisemita, con amici e fidanzate ebree, peraltro difeso ancora nel 1944 dal mensile del Movimento Nazionale Ebraico: «Il suo individualismo, la sua solitudine intellettuale lo fanno fratello degli ebrei». Nei tre libri «maledetti», che pochi hanno letto (per le sue stesse disposizioni testamentarie che la vedova fa rispettare rigorosamente) ne ha per tutti: i comunisti, gli stessi francesi, gli ariani, i giornali, il Capitale, la Chiesa, la borghesia crapulona, i colleghi imbolsiti. Chiama Pétain «Bédain», cioè trippa, e Hitler Dudule, famoso clown dell’epoca. Finché si sente l’unico a denunciare le cospirazioni degli ebrei guerrafondai, si sfrena in un delirio accusatorio che finisce per risultare comico-grottesco, la caricatura di se stesso: «essenzialmente metaforico e violentemente iperbolico», come diceva Raboni, per cui il lettore si ritrova scisso tra consenso estetico e dissenso etico.

Ma quando i tedeschi arrivano a Parigi e la persecuzione diventa una pratica effettiva, Céline si tiene in disparte, rifiuta le offerte di collaborazioni giornalistiche e radiofoniche, non entra in associazioni filo-tedesche. Il grande anarchico si ritira sull’Aventino di Montmartre aspettando il peggio che s’è costruito con le sue mani. Al piano di sotto si riuniscono degli esponenti della Resistenza che lui non denuncia, anzi. Quando ascoltano Radio Londra, li prega di aumentare il volume, perché lui da sopra non sente bene. Amava così poco i «fritzi» che, a 50 anni e invalido al 75 per cento, scoppiata la guerra si era perfino arruolato volontario.

In Germania il Viaggio era stato bollato come arte degenerata, e l’autore come un personaggio imbarazzante. Lui ricambiava, profetando sin dal 1933 che là si stavano preparando «immonde intraprese sadiche e mostruose», e che l’Europa intera sarebbe stata fascista per parecchio. L’invasato sapeva anche veder bene. Al giovane Arbasino che va a trovarlo nel 1959 predice che gli Stati comunisti si sarebbero aperti prima o poi al capitalismo. Aveva ragione Gide quando spiegava che non è la realtà che Céline dipinge, ma l’allucinazione che la realtà gli provoca. Chi lo frequentò ricorda che non guardava negli occhi l’interlocutore, come se obbedisse soltanto alle visioni oltranziste che lo agitavano dentro. L’uomo dall’insostenibile pesantezza dell’essere sapeva che il delirio può arrivare dove fallisce la ragione.

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 4 aprile)